Goffredo Fofi, Riscattarsi sulla pellicola

da IL SOLE 24 ore

Riscattarsi sulla pellicola

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di Goffredo Fofi

6 febbraio 2011

Quello della fiducia è uno dei problemi veri e basilari del nostro paese, e forse è il problema. Raramente nella nostra storia nazionale ci si è trovati in presenza di altrettanta sfiducia nelle istituzioni, nella classe dirigente (non solo quella politica, è chiaro), e di conseguenza di tutti verso tutti. Per esempio, l’aspetto che di tutti è il più grave, dei giovani nei confronti degli adulti e dei giovani nei confronti di se stessi, che è il più brutto e preoccupante risultato di un collettivo e disastroso non pensare il futuro, di un attendismo senza Godot, mentre i “barbari” sono tra noi, siamo diventati noi.

La vecchia maledizione dell’ipocrisia – fingere di essere ciò che non si è, mentire spudoratamente perfino a se stessi, dire A e fare B e pensare C – pesa sul nostro presente inquinando in profondità ogni speranza in cambiamenti di sostanza. È forse a partire da questo che qualcuno ha avuto l’idea di proporre il tema della fiducia ad alcuni giovani autori cinematografici, i quali, dentro gli attuali meccanismi culturali, sociali e politici, devono ritrovare con molta fatica delle prospettive di cambiamento che riguardano tutti, e dunque anche loro medesimi. Non è facile sfuggire, oggi, alle sotterranee convinzioni dominanti, che si basano ancora una volta sui mali antropologici e storici dell’Italia: il familismo amorale, il culto del “particulare”, il “qualunquismo” più o meno giustificato, l’assenza di un rigore che solo poteva nascere, a suo tempo, da una riforma religiosa che ci è stata storicamente negata. Di virtuosi a cui dar fiducia la nostra storia ne ha avuti tanti, ma, si direbbe, tutti alla fine dei perdenti a causa del bisogno di avere chi ci illudesse, chi tollerasse i nostri difetti chiedendo in cambio la tolleranza per i suoi. Nel cinema come nella vita, al mercato come in Parlamento. Con l’aggiunta, sempre, di molte chiacchiere vane, ma intontenti e intorbidanti.

Molti anni fa ci si commosse per un’immagine finale di Ladri di biciclette, quella del bambino che, dopo la lunga traversata della città e della conoscenza dell’adulta fragilità paterna, della dura realtà dei rapporti sociali segnati dal bisogno e dalle disparità economiche e di ceto, pure cercava con la sua piccola mano quella callosa del padre.

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Molti anni dopo, un’immagine simile, nell’Italia ormai ricca, pubblicizzava un sistema assicurativo privato, ed ebbe molto successo: una mano adulta che stringe una mano bambina. Mi commosse e commuove di più la prima immagine, dove era piuttosto il bambino a dar forza all’adulto che non il contrario, e si riferiva a qualcosa di collettivo e sociale e non di privato, la cui base era peraltro fortemente economicistica. Se dal ramo Assicurazioni passiamo a quello Banche, come non ricordare un film, bensì targato Usa, che più o meno negli stessi anni di quello di De Sica mostrava una duplice realtà, due visioni del presente e del futuro, due possibilità. Era La vita è meravigliosa di Frank Capra, con James Stewart, giovane e onesto banchiere, che stava fallendo per colpa di uno squalo capitalista che divorava i piccoli rivali, e per questo meditava il suicidio. Un angelo buono e imbranato gli mostrava però cosa sarebbe stata la vita della sua comunità se lui non fosse esistito, e in qualche modo Capra ci mostrava la Realtà Vera sotto forma di incubo, alla quale contrapponeva una Realtà Ideale sotto forma di veglia, imbrogliando abilmente le carte. Fu il suo film di maggior insuccesso, quando uscì, per la conturbante negatività del Sogno che era il Vero e per l’eccessivo “buonismo” del Vero che era il Sogno. Oggi quel film è stato ampiamente rivalutato, e ci appartiene più di quello di De Sica, perché da società di scarsità che eravamo siamo diventati una società affluente (anche se con il timore di tornare di nuovo alla scarsità).

Assenza di fiducia – nel prossimo, nei governanti, in noi stessi, nel futuro – vuol dire una società bloccata e votata al trionfo del più forte o di chi sa mentire meglio di tutti. Il cinema, con pochi finali al nero nelle opere dei registi più pessimisti o più lucidi, il cinema ha preferito raccontare storie di sfiducia che si rovesciavano positivamente, verso la fine, in vittoria dei buoni, cioè della fiducia, e penso in particolare all’amato filone del cinema western – che offrì il territorio ideale per storie ideali, per metafore radicate nell’inconscio collettivo – più che a quello del cinema poliziesco e di gangster, condannato a un maggior realismo, e dunque a parlar di fiducia e sfiducia in termini concreti e riconoscibili. Nel cinema di mafia, per esempio, la fiducia è il requisito fondamentale richiesto ai singoli nei confronti del gruppo, ma è anche quello che, declinando, porta alle vendette. Nel cinema sentimentale e amoroso, è all’interno della coppia che si gioca la partita della fiducia, della “guerra tra i sessi” che deve trovar quiete per permettere la continuazione della vita e della società (mi viene in mente il titolo esemplare di una mediocre commedia americana vista in qualche retrospettiva, con Clark Gable e Marion Davies, che era nell’originale Cain and Mabel e in italiano Caino e Adele…).

La fiducia è la base di ogni incontro e di ogni organizzazione sociale, di quelle minime e di quelle massime, private e pubbliche. Quando alla fiducia (alla fede, alla fedeltà a principi comuni e a persone concrete) si sostituisce la sfiducia (la diffidenza, l’infedeltà, e magari la sfida), una coppia, un gruppo, una società vanno in tilt e degradano e crollano, e se non trovano nuovi motivi di fiducia vanno al crollo, oppure al trascinarsi di situazioni di insoddisfazioni e nevrosi private o pubbliche, che è quello che sta capitando a noi tutti, individui gruppi nazione. Ed è per questo che si ha bisogno come non mai, in cinema e in tutto, di un sistema di valori da riaffermare con fermezza e coerenza, e che valga per il privato, per il comunitario e per il collettivo. Il cinema peggiore ci mente e ci illude, come ci mente e illude la pubblicità; il cinema migliore ci mette di fronte alla realtà, ci sconsola invece di consolarci, ci chiama a reagire, ma è proprio per questo che ha la vita sempre difficile.

Goffredo Fofi, Riscattarsi sulla pellicolaultima modifica: 2011-02-08T16:01:58+01:00da mangano1
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