Vladimir D’Amora
19 agosto 19.39.45
PsicoPubblicitario,
o con la presupposizione d’anima
I
Con una mechané davanti, spenta sul retro e nera, e davanti vicine le bottiglie, il verde, l’acqua che risale, chiusa e dentro però, con l’animale dunque e la pelle sua al fianco, immaginando più coperte. anche un’idea, in storia e video e musica e immagini, nella cosmetica serrata e disponibili necessità di solido ed elementare anche, lontane e stratosferiche le limitate cose tutte più o meno trasparenti, infondate stanno proprio. Un medio al centro e che convoglia l’uscita da sé e il centripeto insieme – come nell’acqua chiusa il pezzo del mondo è oltre il chiavarsi proprio dello schermo, che era vetro di contenitore la bottiglia, così giocano infanti, più che muti e inadatti allora alla parola che ne nomini solo la singolarità, e s’immaginano montati a caccia di enti ignoti alla dissonanza obbiettivata, ossia che resti. Così è il venatorio stesso, la species, vita del vivere.
Giustificabile entro il dominio di una faccia inviseificabile, e ingestibile dal suo esterno.
Dotata esistenza e vuoto, il viso di un allergico che si provoca al desiderio di lenirsi procacciata crisi, lungo il collo, nell’evidenze clavicolari, sulla grana d’epidermide, che si approssima e si distanzia, (sono le dotazioni della mechané, anche se spenta), a distanza sempre, l’essere il dolore l’evaso, e la luna che vortica, del corpo la zuffa dei volontari e involontari muscoli, senza e senza. Come disinnescate provocazioni catartiche, nel cranio rigato dal rimbombo… Le morti, le vite, il nome, qui – si rincorrono al modo di un esercito richiamato a domino… O si tratta di punti, inestesi, esposizioni, aure, scivolamenti di temi.
La metonimia è il politico – di più
.
Laddove le sostituzioni sono amuleti inefficaci appesi a ogni, singolare corpo, talora come segni di carne battezzata, convivono scorrimenti analogici e fior di simboli, a segno del tempo.
II
Se il falso impazza (non si dica che domini…), i morti cacano.
Il falso non impazza neppure.
I morti cacano.
L’eroina, i suoi litri, non si beve. No.
Invece contro vento si piscia, su monti caucasici un esempio con prometeo e gli sgherri di giove, godendo pure a trivellare leggiadre studentesse di terzo pelo coi supplementari di depressione e netta beanza…
Ebbene, queste non sono immagini. Ballare da soli, come sognare assediati: proprio a tale livello di autoreferenzialità, proprio per poter salutare una specie di fiore disprezzabile e circondato da pezzi di storia, ci volle un teorema. Poi vennero la morte, gli squarci di vero, i mutamenti repentini e in sordina, inimmaginabili.
Ma, anche per noi, c’è un teorema, una formula di non insipida ineluttabilità, e perspicua?
Una colluvie di poche, tra loro distanti, fenomenali scimmie. Non più di questo si tratta.
I desideri non possono portarsi a forma, proprio essi non sono altro che le nostre immagini. Se si desidera, è un corpo d’immagine. Perciò non c’è forma, fissa o mobile o montata, per il desiderio: l’immagine, che il nostro desiderio è, non ha forma che la confessi ed esaurisca. L’immagine è una certa, specialissima misura dell’invisitabile, e non più dell’invisibile. Perché, altrimenti, l’immagine sarebbe precipitata tra la scimmia e l’oltre, sopra un abisso persino bloccato e spalancato.
Si dice: solo il brutale, dandosi a vedere desideri senza immagini; solo stucchevoli, laddove siamo ricolmi d’immagini senza desiderio. Che non sporgono, si denudano sfumando.Il desiderio va esaurito, esaudendosi a parte, orfano, separato dall’immagine: il dileguante reale.
Se i desideri sono non esaudibili, ma già esauditi; è così reso alle immagini di poter essere rincorse? Dopo che lo schermo sia stato stracciato: dopo che l’opaco biancore riveli il suo fitto montaggio, una finta potenza?
Ebbene, chi rompe lo scarto fatato, tra la forma e l’immagine? Tra la vita e la nuda scena di una materia incollata alla forza?
Non il poeta, non il filosofo, non il fotografo, non un artista né un umbratile montatore di forme e di testi. Non l’insegnante, neppure gli esecutori di dio e degli uomini.
Eppure al sole si dà il tu, s’è una massa pensata infocata.