Renato Barilli, Omaggio a Robbe Grillet

e3eb7fdc67e9fc71a1dc8098b710b2f9.jpgALAIN ROBBE-GRILLET E IL CINEMA C’è da scommettere che il rapporto tra produzione narrativa e cinema, nel caso di Alain Robbe-Gril- let, si configura in un modo radicalmente diverso rispetto ad ogni altra coppia messa alla prova nella presente manifestazione. Negli altri casi, l’accostamento si risolve in genere in un rapporto di buon vicinato: c’è un regista che si sente affasci- nato dal mondo narrativo espresso da un autore, e decide di impadronirsi di personaggi ed elementi di trama, ma riversandoli secondo i canoni della sua propria sensibilità e pratica di regia. Si hanno allora i due possibili esiti: o il narratore ritiene di essere stato “capito” e ben interpretato, e fa giungere di conseguenza la sua approvazione, o viceversa si sente incompreso, tradito, con conse- guente protesta. Oppure, richiamandosi a un fair play, enuncia il prin- cipio che ogni produttore d’opera è autonomo nel proprio campo, e dunque il regista cinematografico è pienamente libero di procedere a un’interpretazione radicale, a una riscrittura. Al limite, si possono dare numerosi casi di buona collaborazione reciproca, in quanto il narratore può accedere alla proposta di predisporre il proprio testo alla versione cinematografica fornendone una sceneggiatura. Robbe-Grillet si è prestato a questo gioco solo in occasione del suo primo affaccio sul territorio del cinema, al momento de L’année dernière à Marienbad, quando era già del tutto pronto a stendere un “ciné-roman”, a condurre cioè un’operazione testuale pienamente ancipite, tale da potersi leggere per i due versi, ma non ebbe il coraggio di assumere direttamente la regia, o meglio, quel coraggio non lo ebbe il produttore del film, che impose l’intervento di una figura di alta professionalità e rinomanza in sede cinematografica, Alain Resnais. L’operazione ebbe successo di pubblico e di critica, ancor oggi molti sarebbero pronti a dichiarare che così devono andare le cose, che l’incontro deve basarsi su un compromesso al cinquanta per cento. Robbe-Grillet invece, e parte da qui la singola- rità, la coerenza, l’unicità del suo caso, rifiutò proprio quanto di com- promissorio sussisteva in quel rapporto a due, giurò a se stesso, e al pubblico, che una collaborazione, diciamo così, eterologa non si sarebbe più ripetuta per il futuro, e così è stato, anche se per questa sua radicalità il narratore francese ha pagato un grave prezzo, dato che in genere i suoi prodotti successivi, firmati totalmente in prima persona, sia sul versante del soggetto e della sceneggiatura che su quello della regia, non hanno più incontrato un grosso successo di pubblico. Eppure egli ha continuato imperterrito per la sua strada, convinto di un’assoluta equivalenza dell’una e dell’altra operazione. Nei miei panni di devoto esegeta della grandezza robbe-grilletiana mi sono sentito autorizzato, nel dedicargli il saggio Robbe-Grillet e il romanzo postmoderno, di fare addirittura il nome di Aristotele.Infatti, come è ben noto, al momento di stendere la sua “Poetica” il massimo filosofo dell’antichità ha avuto il coraggio di trattare con- giuntamente i due generi teatrali, commedia e tragedia, e il genere destinato alla lettura, in pubblico o in privato, cioè l’epica, grande progenitrice del filone narrativo. E dunque, un Aristotele redivivo ai nostri giorni non dovrebbe esitare a ripetere la fatale fusione, questo in definitiva il ruolo assunto da Robbe-Grillet, che infatti, in sostanza, viene a sostenere che tra il racconto affidato alle pagine di un libro e quello affidato alla celluloide e scorrente sullo schermo non c’è alcuna differenza sostanziale. Così è, se guardiamo questi Glissements progressifs du plaisir, che forse è il prodotto cinematografico più avanzato e maturo dell’officina robbe-grilletiana sul versante filmico, degno pertanto di figurare in questo festival, vi abbiamo un perfetto condensato di tutte le migliori virtù narratologiche dell’autore francese, invano cercheremmo un racconto libresco che si possa vantare di essere più ricco, completo, maturo. Qui giunto, dovrei condurre una breve sintesi del mio intero sag- gio, ripetere come questo narratore dei nostri tempi, procedente “a classi unite”, senza distinzione di genere, sia di un’autorevolezza assoluta, assiso al culmine di un esercizio postmoderno, di narra- zione non rappresentativa, ma rivolta a una continua combinazio- ne assemblagistica dei motivi di base, agitati, mescolati tra loro come in un caleidoscopio, in modo che gli stessi elementi ritornino ogni volta in combinazioni mutate, pur all’insegna di alcuni grandi temi ideologici dei nostri tempi: la lotta contro ogni principio auto- ritario e di società “chiusa”, l’elogio dei valori libertari insiti nella donna, anche perché essa incarna più agevolmente il versante freudiano del piacere-libido-eros, e il fine dei fini, per l’umanità dei nostri giorni, è di far progredire appunto i quozienti di eros-libido- piacere sui valori repressivi di segno opposto. L’”aperto”, insom- ma, deve vincere sul “chiuso”, ma intanto la tensione tra questi due poli si distende, si frastaglia in una serie infinita di scaramucce, e in ciò sta il cuore di ogni impresa narratologica dei nostri giorni. Tutto bene dunque, affermazione di totale equipollenza, almeno nel caso Robbe-Grillet, tra le vie del romanzo e quelle del cine- romanzo? Non proprio, ovvero il devoto cultore del robbe-grille- tismo che è in me non può fare a meno di constatare l’intervento, malgrado tutto, del famigerato “specifico”: è pur vero che ogni produttore di opera deve avere una spiccata sensibilità, una predisposizione, una facilità all’uso dei materiali che adopera; se invece resta vittima di qualche sordità su questo fronte, non possono mancare certi effetti negativi. Ebbene, Robbe-Grillet è sovranamente maestro a livello linguistico, non così quando si pone dietro la camera, temo che in questo secondo caso resti malgrado tutto alquanto succube delle modalità operative dello scrittore; ovvero, il regista in lui manca proprio di “glissements”, spezza un po’ troppo le singole sequenze, come deve fare la lingua costretta a rispettare i singoli lessemi e sintagmi; mentre la camera potrebbe essere assai più libera, e “progressiva” nello scivolare da una scena all’altra. O in altre parole, come regista il nostro autore si condanna a una regia di ferro, troppo calcolata e prevista a tavolino, troppo di testa, e troppo poco di pancia, o di sesso. In fondo, in questo film dal titolo così propiziatorio, sono proprio i “glissements progressifs” a fare difetto.

Renato Barilli, Omaggio a Robbe Grilletultima modifica: 2008-02-19T17:49:28+01:00da mangano1
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