F.Tomasello, Intervista a Piperno sul 68

Federico Tomasello  “1968 l’anno che ritorna” il libro-intervista di Franco Piperno

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Torino, 1968 Uliano Lucas, da “Storia fotografica d´Italia”, IntraMoenia
DA liberazione  24 luglio 2008

Federico Tomasello

Cosa ti aspetti da chi sfuggì al celeberrimo mandato di cattura per insurrezione contro i poteri dello stato del 7 aprile 1979 perché «per un’attitudine di tipo meridionale mi svegliai alle una ed arrivai tardi alla riunione della rivista Metropoli»? Un ragionamento sul ’68 in grado di fuggire la trita retorica celebrativa che avrebbe fatto rabbrividire i giovani sessantottini e che provi a guardare al senso profondo di quegli anni, ovvero ai temi ed agli spunti che possono tornare utili anche oggi nella riflessione su questo tempo buio.

Il cuore del ragionamento di 68 l’anno che ritorna , il libro-intervista di Franco Piperno curato da Pino Casamassima (Rizzoli, 179 pp., euro 16,50), tocca la dimensione più importante della vita umana: il tempo. Il ’68 diviene così anzitutto un’«insurrezione contro l’ordine del tempo» messa in campo dall’irruzione di una nuova generazione figlia del boom demografico e di quello economico, una generazione per cui «il futuro diventa irrilevante e il presente, la totalità del reale si dispiega». Essa rappresenta in sé un fenomeno biopolitico di esodo da quella paura della fame tipica del regime di fabbrica e di critica di massa all’ideologia della modernità. Il ’68 segna così «il crinale di rottura della temporalità moderna» che aveva sempre guardato soltanto al progresso ed al futuro, nella convinzione che la sofferenza umana fosse dovuta principalmente alla miseria causata dal mancato sviluppo industriale che un giorno, nel futuro, avrebbe risolto tutto. Una concezione della storia che aveva profondamente influenzato anche l’ideologia sviluppista del movimento operaio organizzato, sempre intento ad attendere, speranzoso, il progresso centesimale verso giustizia e socialismo. Era inevitabile una discontinuità. Si articolò anzitutto attraverso la critica della tecnoscenza ed il rifiuto della disciplina del lavoro salariato; assunti che non vengono semplicemente enunciati ma praticati collettivamente come comportamenti fattuali. Non è un caso – nota Piperno – se, a differenza di altri grandi avvenimenti storici quali la Rivoluzione francese o quella russa la cui denominazione localizza l’avvenimento, il ’68 non si riesce a definirlo meglio che con una data. Essa segna «la rottura del regime del tempo (…) per recuperare al presente tutto ciò che il tempo della modernità aveva nascosto».

L’altro pilastro della riflessione sugli elementi attuali ed irrisolti posti dal ’68 è rappresentato dal tema della democrazia diretta, quella «potenzialità animale della vita associativa che si desta quando sono in corso grandi trasformazioni». Per Piperno essa è in grado di determinare quella «fusione tra fini e mezzi che si realizzava nella pienezza della vita ricomposta e si esprimeva nella fiducia leggera con la quale si metteva a rischio la libertà personale e il corpo». Il ’68 dunque come spartiacque ma anche come arnese concettuale utile nella prosecuzione della critica a quella «forma grottesca di democrazia» inventata nel Settecento comunemente chiamata «rappresentativa» che finisce inevitabilmente per scavare un fossato enorme fra i cittadini rappresentati ed un ceto sociale composto da «rappresentanti di professione», possibilmente a vita, e da coloro che aspirano a questo ruolo.

La critica alla modernità, alla sua ideologia ed alla sua “temporalità”, ai miti ed alla tirannia del progresso e della storia e le pratiche di democrazia diretta come forma di riappropriazione del presente sono insomma gli elementi più attuali ed irrisolti posti dal ‘68, motivi per cui continuare a parlarne a 40 anni di distanza, lenti con cui provare a guardare la crisi della sinistra, strumenti indispensabili nella riflessione sulle forme della politica ed il progetto della sinistra, perni sui quali, non a caso ruota anche il contributo al congresso di Rifondazione firmato da Franco Piperno ed altri e pubblicato da Liberazione alcuni giorni fa. Essi sono anche gli strumenti con cui si può dare una lettura matura – non cioè ribellistico-giovanilista – della diffidenza dei sessantottini nei confronti dei partiti socialisti e comunisti europei e dei regimi del «socialismo burocratico» il cui fallimento stava lì a mostrare «come l’età moderna avesse compiuto ormai il suo corso, si fosse dileguata col suo realizzarsi. Al contrario il movimento operaio […] perseverava nell’indossare imperterrito gli occhiali del progetto moderno, senza accorgersi dell’avvenuto esaurimento».

Va sottolineato però come il libro non sia solo riflessione sul senso profondo del ‘68, ma anche narrazione di esperienze di vita vissuta, raccontate con la consueta ironia di chi dello spirito di quegli anni ha conservato intatta la feroce irriverenza e l’uso spregiudicato della parola come arma in grado di mettere a nudo tutta la miseria e la banalità dello status quo. Così il ’68 è anche pratica della libertà sessuale, è anche «Rosetta, Lia, Sandra, Serena, Laura, Fiorella, Geraldine, Luciana, Vittoria, Adriana, Isabella, e poi Stefania e infine Fiora che divide atrocemente il prima dal dopo», è anche la determinazione di «non lasciare il male al diavolo» riaffermando il diritto alla violenza come mezzo di difesa, sono le interminabili discussioni sulla leva militare che dividevano i comunisti (per i quali democrazia era “fucile in spalla agli operai”) dagli anarchici e cattolici (propensi all’obiezione di coscienza di massa), è anche la volontà ed il tentativo di vivere una vita diversa, perfetta, completa, buona, dentro l’oscillazione continua tra «la ribellione che mira ad abbattere il potere costituito, e l’esodo che (…) si sottrae al dominio percorrendo astute vie di fuga», è anche il movimento hippy negli Usa, la commissione fabbriche de La Sapienza a Roma, L’uomo a una dimensione di Marcuse, la rivoluzione culturale cinese, il ’68 tedesco, la rinascita del femminismo. E’ soprattutto l’incontro nel fuoco della lotta fra studenti ed una nuova generazione operaia, vera anomalia del ‘68 italiano che farà sì che esso, a differenza degli altri, duri non un solo anno ma almeno dieci…

A chi prendesse in mano 68 l’anno che ritorna consiglierei infine di cominciare dall’ultimo capitolo che spezza la forma dell’intervista ed è da intendere piuttosto come un saggio-appendice dal titolo “Dall’Università alla Multiversità – L’università quaranta anni dopo”. Se il ’68 è un fenomeno nato nelle università torna infatti utile un’analisi della loro genesi dal medioevo fino alla attuale forma di «unità contabili ed amministrative» che «hanno perso l’autonomia e perfino il gusto di praticarla», una «scuola professionale che, in funzione della dinamica del mercato globale sforna giovani formati, anzi formattati». Qui Piperno ragiona sulla condizione dello studente che è, oggi come nel ’68, «potenzialmente sovversiva», unica soggettività in grado di arrestare i processi di aziendalizzazione dell’università. Da professore avanza infine alcune proposte in materia, dirompenti e ferocemente provocatorie, che valgono anzitutto per la comprensione di come «la questione universitaria si ponga dal punto di vista del movimento del ‘68».

F.Tomasello, Intervista a Piperno sul 68ultima modifica: 2008-07-24T14:20:00+02:00da mangano1
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