Massimo Tomassutti, Nuova morte operaia a Venezia

2088863357.jpgE’ accaduto ancora, scandalosamente, come troppe, maledette volte è già avvenuto. Questa volta è toccato all’isola veneziana di Murano dover sperimentare il primato tutto italiano della ‘sovranità’ della morte sui luoghi di lavoro. Vitaliy Vasilyyuk, ventenne operaio edile ucraino, è deceduto sotto il devastante crollo di un muro nel cantiere dove stava lavorando. Mica facile ‘digerire’ ancora questa ennesima, assurda morte sul lavoro. Pensi a Vasilyyuk, ai suoi vent’anni così assurdamente spezzati, alla precarietà esistenziale cui, probabilmente, era costretto per portare a casa la ‘pagnotta’ (lui e molti altri come lui) e per contrappunto ti vengono in mente certi recenti, idioti e cialtroni slogan leghisti, spacciatori di un assurdo odio razziale verso l’Altro e il diverso comunque inteso (immigrati, musulmani, extracomunitari, ect), sparate che irritano chiunque conservi ancora, in questo nostro inquieto presente, un briciolo di buon senso (forse si dovrebbe dire di cervello). Chi era Vasilyyuk? Come viveva qui nel ricco nordest veneto? Cosa sperava per la sua vita? Ce le facciamo mai queste domande, noi “autoctoni” veneti e italiani? Certo, puoi evocare la fatalità, l’inesperienza, la sfortuna anche. Ma Vitaliy se né andato comunque per sempre. E con lui (ancora, per l’ennesima volta) una parte della nostra, residua civiltà. Immaginate ora di essere un lavoratore edile ‘straniero’ in un paese straniero, accusati continuamente di “portare via il lavoro” agli italiani, di essere “entrati illegalmente” e di lavorare in condizioni difficili (precarie, con bassi salari e con condizioni di sicurezza spesso insufficienti). Non è difficile immaginare come vi sentireste dopo un po’ di tempo. Ora smettete di immaginare per favore. Pensate a Vitaliy che si alza presto al mattino per recarsi al lavoro, che sente, forse, attorno a sé una certa, velata ostilità sociale, ma che comunque vede in quel maledetto cantiere una speranza per il suo futuro. Vitaliy non sa che oggi non tornerà più a casa. Liquidare la sua morte come fatalità? Forse. Ma poi immaginate il “contenimento dei costi”, il “subappalto” eccetera eccetera. Diciamo che si tratta più probabilmente dell’ennesimo caso di “omicidio bianco”. Di menefreghismo della ditta committente, da far vergognare. Non ce la faccio più, chiudo qui amici e chiedo scusa a Vitaly che credeva di trovare qui un futuro e una speranza invece ha trovato certi ‘imprenditori’ che, con il loro operare menefreghista e truffaldino, quel futuro e quella speranza hanno reciso.

Massimo Tomassutti, Nuova morte operaia a Veneziaultima modifica: 2008-09-23T16:11:00+02:00da mangano1
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