per discutere del blog

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Caro Attilio,
ti ho già scritto tempo fa le mie riserve sulla “forma blog”, ma tu sorvolasti. Non te le ripeto ora, ma è chiaro che tu stesso hai dei dubbi sul riconoscimento o sul successo ottenuto ( i 14mila lettori forse sono solo visitatori, passanti che gettano uno sguardo nella “vetrina” e scompaiono nell’ignoto senza lasciar traccia) e poni il dito sulla piaga: la carenza di commenti e di discussione. Da cosa dipende? Per me dalla ridondanza delle informazioni. È vero che tu fai da filtro a un flusso ancora più vasto e- con una serie di riserve- io stesso mi sono “servito” del tuo blog, appoggiandomi sulla tua capacità di lettore selettivo di giornali o di altri siti. Ma la successione di testi pubblicati quotidianamente anche nel tuo blog è incalzante e che senso ha tenerle dietro? Anche un’attenzione “distratta” tipica dell’epoca della cultura di massa non dà frutti e dopo un po’, se uno non ha la fregola dell’aggiornamento a tutti i costi, lascia perdere. Ma l’altro difetto del blog è che incentiva una sorta di narcisismo del suo curatore, che finisce per rispecchiarsi di continuo nei suoi gusti e nelle sue scelte, fino a quando non viene preso dal dubbio. Bisogna pur cercarsi degli interlocutori – virtuali fino a un certo punto – e farsi carico di un confronto su un tema che davvero abbia rilievo (in sé o per te o trova concordi che so 3-4 persone) e scavarlo almeno per un mese. Che so, hai pubblicato il testo drammatico di Saviano su Castelvolturno. Beh, fermati su quello, chiedi dei commenti, apri una discussione tra questi tre o quattro, poi seleziona le risposte e pubblica solo la parte significativa impegnandoti tu stesso in un commento-introduzione. Sarebbe usare un mezzo come Internet rallentadolo troppo? Sarebbe una negazione della “forma blog”? E chi dice che non serva una scelta del genere?
Ciao
Ennio

giorno 24/set/08, alle ore 10:18, augusto vegezzi ha scritto:
Ti ringrazio per questo intervento-programma molto persuasivo e problematico. Sono d’accordo e cercherò di non limitare la mia lettura ad apprezzamenti soggettiviti, ma anche a partecipare attivamente.
A presto. Gughi

Il giorno 24/set/08, alle ore 10:02, Attilio Mangano ha scritto:
Caro Giulio,
conoscevo già le posizioni di Lovink e trovi nel mio blog un suo testo precedente. Sono considerazioni critiche spesso condivisibili ma anche estreme, tipiche di un certo radicalismo.In ogni caso non so
a quanto possa servire, rispetto almeno alle intenzioni originarie del carteggio, aprire una discussione sociologico politica su vizi e virtù della forma-blog, sul rapporto tra cultura di massa e web, solipsismo e conflitto sociale.
Certo se questo è il mondo ne faccio parte anche io e non posso illudermi che il mio blog sia esente da questi limiti e aspetti di fondo del fenomeno stesso. La richiesta iniziale della mia lettera agli amici
era meno ambiziosa. Ma forse anche tua risposta e segnalazione conferma che il problema di come rendere più partecipato e discusso il blog stesso non è di facile soluzione. Il rischio di oscillare fra disccioni generali e parlarsi addosso consiglia di lasciar perdere.
Attilio

Il giorno 24/set/08, alle ore 06:12, giulio.stocchi ha scritto:
Caro Attilio c’è un bel libro, Zero comments, che ho avuto solo il tempo di scorrere e del quale, dati i miei attuali casini, mi è impossibile fare una recensione, che può darti alcuni elementi di risposta alle tue domande e alle tue perplessità.
Il libro analizza infatti con rigore e serietà, e soprattutto con ricchezza documentaria, quello che è, a parere dell’autore, un limite strutturale del fenomeno dell’esplosione dei blogs e forse, in genere, del web: il solipsismo.
Ti mando a parte una scheda sul libro e vedrai che se hai la pazienza di leggerlo troverai molti utili spunti.
Un abbraccio, Giulio

rlo Mazzucchelli

[ Riprendo un interessante articolo/recensione di Benedetto Vecchi pubblicato su Il Manifesto, del 19 aprile 2008 e ripreso anche da CulturaLibera.org. Segnalo in particolare la riflessione sul social networking e sul ruolo dei social networks nella socializzazone degli stili di vita e consumi culturali. Temi più volte toccati su questo portale e argomento di riflessioni online e pubbliche (vedi evento MIT e articoli qui pubblicati ]
Dalle macerie della «New Economy» al successo di YouTube e MySpace. Un percorso di lettura a partire dal volume «Zero Comment» dello studioso olandese Geert Lovink dedicato all’esplosione dei blog e del social networking su Internet
Benedetto Vecchi
Il Manifesto, 19 aprile 2008
La polverizzazione delle imprese dot-com nel 2001 non ha lasciato solo macerie. Piuttosto ha alimentato la proliferazione esponenziale della cosiddetta blogsfera, cioè di quei siti Internet che consentono una interattività in tempo reale tra chi scrive e chi legge, consentendo così il commento al testo «postato». Nella maggioranza degli oltre cento milioni di blog i testi presentano però il perentorio messaggio zero comment, elemento che smentisce proprio quella tanto decantata interattività del cyberspazio. Ed è proprio a partire da questa aporia tra la retorica dell’interattività e la sua assenza che prende le mosse il libro di Geert Lovink Zero comment (Bruno Mondadori, pp. 184, euro 14).
Geert Lovink è un veterano della network culture. Con i suoi libri ha contribuito a una vera e propria «storia del presente» digitale. È stato infatti l’ispiratore di Nettime, una delle mailing list più interessanti degli anni Novanta; è stato inoltre testimone partecipe della cosiddetta media art; ha altresì analizzato puntualmente l’euforia della new economy, con la conseguente «depressione» derivata della sua crisi. La sua analisi della blogsfera è quindi in piena linea di continuità con la sua attività di media theorist, come talvolta ama definirsi.

In questo libro sono analizzati criticamente alcuni luoghi comuni dei blog. L’altro paradosso riguarda la rappresentazione della blogsfera come esempio di «comunicazione trasparente»: per Geert Lovink, i blog sono invece «diari pubblici», cioè una forma di scrittura che annota fatti e pensieri relativi alla propria condizione esistenziale meritevoli, per chi li scrive, di essere «pubblicizzati» perché paradigmatici di una realtà condivisa da altri. Il fatto che i blog possano essere considerati «diari pubblici» ha costituito una potente fonte della loro legittimazione ideologica, ma questo non cancella il fatto che, come afferma lo studioso olandese, alimentano il rumore di fondo del ciberspazio e dalla messa in rete di opinioni fondate quasi sempre su pregiudizi e sentimenti rancorosi verso un mondo percepito quasi sempre come «cinico e baro». L’analisi che egli fa del ruolo svolto dai blog nella crescita dell’intolleranza e della xenofobia antislamica nella società olandese è infatti propedeutica all’esposizione della sua tesi che i blog generalmente sono lo strumento attraverso il quale ha preso corpo, si è sviluppata e ha acquisito un potere di condizionamento della discussione pubblica una vera e propria weltanshauung populista e conservatrice.

per discutere del blogultima modifica: 2008-09-24T11:02:00+02:00da mangano1
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4 pensieri su “per discutere del blog

  1. Cari amici,
    E’ certo possibile che il “nostro” blog contenga alcune insufficienze del metodo appropriato o corrente – o meglio si direbbe ‘sistema’ -, di far critica culturale e politica. Vero è, tuttavia, che eventuali sue trasforma-zioni indiscriminate o caotiche – quali possiamo vedere in altri blog – risul-terebbero altrettanto improduttive. Impegno nostro e di Attilio non dovrebbe essere solo quello di fissarsi nella discussione di alcuni temi.
    Un blog critico dovrebbe, invece, essere teso all’individuazione delle
    ‘costanti’ che determinano la società attuale che ne sottendono lo ‘stile’: ossia le “forme presenti”, immediatamente intuibili qui e ora! Non dovrebbe, insomma, ripetere astrattamente le consolidate, stereotipate clausole linguistiche (di linguaggio in senso foucaultiano, ben inteso!), ma dovrebbe inverarne le ‘strutture’, rispondenti alle nuove e diverse esigenze del nostro mondo.

  2. caro Massimo , grazie delle osservazioni, che solo in apparenza pongono delle questioni di metodo, mi auguro che altri rispondano

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