Alessandro Tacconi, Ausonio poeta dell’ambiguità

da (www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 14, ottobre 2008)
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Un poeta latino
contemporaneo
del Trecento…

Pensieri e intuizioni di un uomo di transizione. Un uomo che si sofferma sul passaggio di un’epoca, il IV secolo d.C., e che forse neppure lo vede troppo bene. Un uomo divaricato tra due mondi, due epoche: antica e medioevale. Decimo Magno Ausonio è retore e grammatico, piuttosto celebre al suo tempo. Compone, compone e compone. La sua produzione sarebbe equiparabile oggi a quella di un George Simenon, che tantissimo ha scritto sia con il proprio nome che sotto pseudonimo. Forse non tutta la sua opera sarà stata d’eccelsa fattura ma, in ogni caso, resta in lui il desiderio di fermare un istante, descrivere, rendere omaggio, dileggiare e schernire.
Ausonio è innamorato della cultura classica. In molti testi si legge infatti l’invocazione a questa o a quell’altra divinità. Il libro Epigrammi (pp. 156, € 10,00), curato in modo ammirevole da Luca Canali, pubblicato da Rubbettino nel 2007, è corredato da un apparato di note ricche e avvincenti quanto gli stessi epigrammi.
I suoi scritti sono opere ricche di informazioni sui personaggi del suo tempo e della sua epoca. Un tempo in cui i forti attriti politici e spirituali provocavano, in seno alla società romana, grande fermento e inquietudine.
Ausonio è un poeta moderno, che rifugge nello stile e nell’elaborato le astrusità formali, gli abbellimenti stilistici fini a se stessi, che trova ispirazione piuttosto nell’essenzialità dei suoi predecessori.
Luca Canali, nell’Introduzione descrive, in Ausonio, poeta dell’ambiguità: «La sua vocazione più originale e moderna è quella dell’ambiguità: egli sa giocare come pochi altri con le ombre capovolte, con i riflessi trascoloranti degli alberi nelle acque dei fiumi, con le brevi e rapide composizioni (epigrammi), sui sessi incerti o doppi e incompleti nella loro duplicità (Ermafrodito), gli innamoramenti possibili e micidiali (Narciso), le disperazioni inconsolabili risolte in autodistruzioni liberatorie (la ninfa Eco che si annienta per amore e diventa puro suono)».

L’eterna contemporaneità degli autori classici
Poeta della contemporaneità, di una certa pruderie che conosciamo fin troppo bene, Decimo Magno Ausonio ci incanta con la propria nitida visione del suo tempo: la decadenza dell’Impero. Il passaggio a un’epoca successiva. E nel mezzo il poeta, che ne canta fasti e piccolezze, che inneggia, che compone ovazioni, che evoca divinità per magnificare Tizio o Caio (chi più di un latino, anche se d’azione!).
Più si leggono i classici, come aveva suggerito peraltro Giuseppe Pontiggia nel suo straordinario I contemporanei del futuro, più si scorgono i nostri tristi e prevedibili passi da arrochiti brontosauri dell’epoca presente.
È già stato tutto scritto, detto e, ahinoi, fatto. Basta aprire un qualsiasi testo di epigrammi come questo di Ausonio, o di un maestro come Marziale, per leggere nefandezze che ricordano troppo quelle dei nostri “politichini”. Inoltre vi si scorge una marcata denuncia di piaggeria, la medesima voglia di compiacere il potente di turno, salvo poi strisciare, in senso figurato quando non fisico, per salvaguardare il proprio interesse.
Gustiamo il salace epigramma 45 dal titolo La statua di Rufo: «Questa è la statua di Rufo. Nulla di più vero. / È proprio così: infatti non ha lingua né cervello. / È rigida, sorda, cieca: in tutto simile a lui. / In una sola cosa è diversa: lui era più molle».
Epigrammi che parlano in modo succinto, eppure assai dettagliato, dell’uomo di oggi. E cosa scopriamo? La stessa vecchia animaccia che cerca facili guadagni, che si vuole garantire un punto di vista privilegiato e inattaccabile, salvo poi essere bacchettato da uno scrittore, peraltro non straordinario, come Ausonio.
E allora deliziamoci con l’epigramma 26 dal titolo Contro un ricco degenere nato da un adulterio: «Un tale, superbo delle sue ricchezze e tronfio / del suo lusso, nobile soltanto a parole, / disprezza gli illustri nomi del nostro secolo, / arraffando antichi stemmi, / e vantando come suoi personali antenati / Marte, Remo e Romolo fondatore di Roma. / Li fa ricamare su vesti di seta, / li fa scolpire su argento massiccio, / imprimendone a fuoco i ritratti / sulla soglia delle porte e sui soffitti degli atri; / ma credo che nemmeno si curò di suo padre, / e che sua madre sia in verità una bagascia».
Fate come vi dico, non come faccio? Un’altra triste lezione. Oppure è sempre stato così? Certo, caro amico, è sempre stato così, non ce ne dobbiamo stupire.

La cosiddetta “Tv spazzatura”: i suoi autori e i suoi “attori”
Noi, effettuando una piccola digressione, ci chiediamo: «si può ancora dire male di certe aberrazioni televisive?».
In effetti se osserviamo certi programmi tivù, ci rendiamo immediatamente conto che sono un’offesa al buon gusto, all’umiltà dei veri artisti che lavorano faticosamente e con costanza, spesso nell’anonimato, per racimolare a mala pena lo stretto indispensabile; decine di incapaci improvvisati ci vengono proposti come i nuovi artisti.
Non potremmo e non dovremmo fare sconti ai tantissimi artisti emergenti, o presunti tali, se vogliamo mantenere alto il fine ultimo dell’arte e della comunicazione. Non dovremmo dare “accesso” alla scarsa e inculturata gente che invade il nostro tempo libero attraverso lo schermo e che avanza diritto di parola. Gente che è accanto a noi da sempre. Non ci credete? Ecco cosa ci scrive Ausonio nell’epigramma 80 dal titolo Contro un uomo dalla voce fasulla: «Imiti il latrato dei cani, il nitrito dei cavalli, / fai il verso del belare delle capre e del gregge delle pecore lanose. / Si direbbe anche che raglino gli asini quando, / o Marco, t’ingegni a imitare il bestiame d’Arcadia. / Giacché tu simuli il canto dei galli e le gutturali strida / dei corvi, e qualsiasi voce abbiano bestie e uccelli, / e lo fai così bene da farle ritenere reali, / certamente non puoi giovarti d’un suono di voce umana».
Non ci dobbiamo irritare più di tanto di fronte a simile gentaglia. C’è sempre stata e sempre ci sarà! Cantanti che faticano a tenere la nota e vendono migliaia di copie di Cd (scaricare dalla rete “illecitamente” questi “capolavori” pareggia i conti di una professione e di un successo immeritati, dovuti solo a studiate operazioni di marketing).
Ballerini che hanno preso lezioni da Dumbo e si molleggiano come pupazzi inanimati, come è scritto nell’epigramma 95 dal titolo Un danzatore al modo di Capanno: «Un caso fortunato compensò la mancanza d’arte: / un istrione, mentre danzava la parte di Capanno, crollò in terra».
E poi la fiera delle vanità sentimentali: il lacrimevole portato in piazza. Quando mai si sono viste le persone sfoggiare con tanta ostentazione il proprio dolore, le proprie affezioni? Tutto è ridotto a sceneggiata con autori e attori d’infimo ordine. Ci piacerebbe dire che è troppo, ma temiamo che sia molto, ma molto meno.

Alessandro Tacconi, Ausonio poeta dell’ambiguitàultima modifica: 2008-10-21T09:40:00+02:00da mangano1
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