La lezione degli studenti.” Io non ho paura”

Da LA STAMPA di oggi 24 OTTOBRE

“Non finiremo come i tristi del ’68”
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Parlano gli occupanti di Torino: abbiamo scritto “Yes we can” nei bagni di
Palazzo Nuovo

A CURA DI M. GRAMELLINI, L.I LA SPINA, J. IACOBONI

«La prima cosa che vorremmo dire è… che noi non siamo come quelli lì».

Chi, quelli lì?
Simone Rubino, 23 anni, scienze politiche. «Quelli del ’68. Lo sappiamo, ce lo ripetono tutti, ma noi non siamo politicizzati. Anche i collettivi non sono che un grande contenitore. A chi si avvicina non chiediamo tessere».Roberta Carbone, 18 anni, liceo linguistico: «Abbiamo una composizione diversa, litighiamo, non siamo un blocco, e non vogliamo diventare una classe al potere, come invece sono diventati quelli del ’68».
La differenza fondamentale è che nel `68 i ragazzi sentivano di avere davanti un futuro. Voi protestate in un’epoca ripiegata, di crisi economica. Questo vi pesa, lo avvertite?
Marco Caprioli, 21 anni, medicina. «Lo sentiamo sì, la nostra azione ha come orizzonte i tagli, l’ossessione di risparmiare. Anche se la critichiamo, il quadro è quello. Però allegria c’è anche tra noi, non sono vere certe rappresentazioni violente che ho visto l’altra sera da Mentana».
Gli scontri in piazzale Cadorna a Milano non sono stati un grande spot per la vostra protesta, non credete?2135268719.jpg
 M «Ma a Milano sbaglio o i ragazzi stavano cantando ed è partita una carica della polizia? Io, da moderato quale sono, non scaglierei mai una pietra. Però ricordo che qualche tempo fa erano i poliziotti in piazza, e nessuno ha cercato di raccontarli in modo caricaturale quando protestavano per i loro stipendi. Guardate, non c’è più la contraddizione tra il poliziotto e lo sbirro che c’era una volta».
Vi battete contro la riforma Gelmini, però la Gelmini nei sondaggi ha un grado di popolarità altissimo. Come lo spiegate?
Giorgio Macaluso, 19 anni, filosofia. «Lei piace per lo stesso motivo per cui piace Brunetta, sanno maneggiare slogan, prendono un luogo comune, che magari come tutti i luoghi comuni ha una base di verità, per esempio l’attacco ai fannulloni, e lo trasformano in verità. Ma il problema è che mascherano con motivazioni culturali un’operazione solo economica».
S. «Io vorrei anche vedere se questi sondaggi sono realistici. Nel nostro movimento c’è una grande trasversalità, c’è anche gente di destra, e non mi pare che a loro la Gelmini piaccia».
Vi siete mai posti però il problema che la scuola italiana è al penultimo posto tra i Paesi europei come qualità degli studenti, davanti solo alla Grecia?
Matteo Amatori, 22 anni, scienze politiche. «Che le cose non vadano bene in questo Paese è chiaro, ma è sbagliato dire che succede solo nella scuola o all’Università. Una proposta per migliorare la scuola è far pensare che noi non siamo dei privilegiati, o dei fannulloni, come fa il ministro? È far credere che tutta l’Università vada sempre più privatizzata? Hanno creato un capro
espiatorio, il sistema dell’istruzione, e scaricano solo su di noi 1500 miliardi di tagli».
Oggi Brunetta è tornato ad attaccarvi, vi ha chiamati «bamboccioni ignoranti».

«Abbiamo la faccia dei bamboccioni? Pensate cosa avrebbe detto se un’offesa così l’avessimo fatta noi».
Qualcosa che si può rivedere nelle Università c’è: che ne dite per esempio dell’idea folle di fare le facoltà nei capoluoghi di Provincia?
Matteo: «Io vengo da Aosta, e sono venuto a studiare a Torino. Non difendo affatto la proliferazione degli atenei».Andrea. «Io dalla provincia di Milano e sono venuto a Torino».
Non c’è nulla, del piano Gelmini, che salvereste?

G. «È solo un piano che taglia fondi. È un po’ la politica del centrodestra
europeo, lo so, che accusa la sinistra di essere meritocratica. Però tagliando solo non riesci a fare il vero cambiamento, far cambiare la mentalità dei ragazzi. Per quello servirebbe parlare. Si taglieranno un po’ di ricercatori, magari due assunzioni, ovviamente i baroni non verranno toccati…».
Scusate, professori e baroni non sono con voi sulle barricate?
G. «In effetti sono rimasto sorpreso l’altro giorno nel vedere Pietro Rossi, che mi descrivevano come un barone, alzarsi e spendersi contro la riforma. Ma certo credo che lo facciano anche per difendere certi privilegi…».

Ecco, i privilegi. L’Università italiana ha il più alto rapporto tra docenti e studenti d’Europa. Il risultato è che arriva alla laurea poco più del 10% degli italiani, mentre in Germania, Francia, persino in Cile, le proporzioni sono più alte. Rischiate di difendere uno status quo che non ha dato esiti brillanti.
Valentine Braconcini, 24, lingue. «Noi l’abbiamo detto che questa Università non ci piace. Io però suggerirei alla Gelmini di partire da una cosa diversa: andare a vedere il tipo di ricerca che si finanzia, la qualità degli insegnamenti, non tagliare nel mucchio».
Matteo. «Se avesse coraggio non taglierebbe le cose di qualità che ci sono».
Non avete il sospetto di essere un po’ corporativi? L’accusa che vi fanno è: prof e sindacati mandano avanti voi per tutelare privilegi loro. All’Università esistono corsi seguiti da tre-quattro studenti.
Matteo: «Sì, e altri con 80 studenti».
Simone. «Noi non ci facciamo strumentalizzare da nessuna parte».
Veltroni però dice di sostenervi in pieno. Non siete imbarazzati dalla coincidenza con la manifestazione del Pd?
Simone. «Il Pd è colpevole come la destra dello sfascio e della mentalità che vuole privatizzare tutto. La protesta degli anni scorsi contro la Berlinguer-Zecchino fu durissima».
M. «E poi il corteo del Pd è stato indetto da cinque mesi…».
Qualcuno ci andrà?
In coro: «No».
Qualche taglio lo accettereste mai? Magari reinvestito in borse di studio per i più bravi?
Roberta. «Se l’Università diventasse un’azienda pubblica io sarei felice. Però non è vero che ovunque ci sono sprechi. A scuola mia non c’era neanche un bidello in tre piani».
G. «Da me invece il bidello non si trovava mai».
Marco. «Ma scusate, per quale motivo ci sconvolgiamo che una struttura che svolge un servizio pubblico faccia del deficit? Non tutto può esser ridotto al mercato».
Luigi Berlinguer aveva tentato di introdurre la valutazione di merito dei docenti. Sareste d’accordo con una riforma così?
Marco: «Io sì, i prof vanno valutati».
Andrea. «Sì, io farei un controllo di merito. Anch’io ho avuto dei prof incompetenti al liceo. E direi anche: abbiamo delle mummie al liceo? Prepensioniamole; ma non coi tagli indiscriminati».
Sonia. «Il rischio sono le epurazioni. E poi come fanno dei prof a valutare altri prof?».
Roberta. «Io dei risparmi, se reinvestiti nell’Università, sarei disposta ad accettarli».
Non avete una proposta da fare?
Simone. «Ci stiamo lavorando, ma abbiamo appena un mese di vita. E anche qui, come vedete, non siamo monoliti, ci sono idee, si discute…».
L’accusa che vi si fa è che dite solo dei no.

R. «Ma se non si discute neanche in Parlamento, e tutto passa con la fiducia, o i decreti, che proposte possiamo fare noi?».
Però oggi la Gelmini dice di volervi incontrare.
M. «Sì, e poi appena noi facciamo un’apertura minima ci frega, dicendoci che ci ha accontentato».
L’occupazione è anche un’occasione per fare amicizia, ancora? Vi scambiate libri, sentite musica in comune?
M. «Io in due notti ho dormito solo tre ore, ma non è che abbia fatto bisboccia, non le ho passate a bere. I libri… ognuno ha i suoi, ma non vedo un libro comune».
G. «Non c’è Marcuse; né la “Lettera a una professoressa” di una volta».
Avete qualche mito, una figura che torna nei cortei?
M. «No. Però abbiamo scritto “Yes, we can” nei bagni di Palazzo Nuovo, come Obama».
Lo slogan che preferite?
«Enterogelmina»

Ehi ma ridete anche o siete sempre seri?
Vale. «Ieri abbiamo anche fatto il cabaret…»
Marco: «Ridiamo un sacco, non diventeremo come quei tristi dei
sessantottini».

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MOZIONE DELL’ ASSEMBLEA DI ROMA

Il coraggio di dire “noi la crisi non la paghiamo”

“Io non ho paura” è il grido collettivo degli studenti di tutta Italia che
continuano con la mobilitazione. A muovere le mosse del governo è invece la
paura che il cristallo del consenso popolare possa incrinarsi rapidamente. Il
Presidente del Consiglio, infatti, dalla Cina (quasi con furore) continua a
insultare il movimento “in mano ai facinorosi” e i giornali colpevoli di
sostenere i giovani. Segnali di un governo che pensava di continuare a
passarla liscia – come gli è accaduto sui rifiuti o sulla manovra economica
estiva – e che invece stavolta ha trovato il classico bambino in grado di
strillare “il re è nudo”. Non sappiamo quanto durerà questo movimento e dove
arriverà. Lavoreremo per farlo vincere, ovviamente, per ottenere il ritiro del
decreto Gelmini e dei provvedimenti sull’Università. Quello che vediamo è
che un’irruzione improvvisa di soggettività ha modificato significativamente la
politica e la società, che la cappa grigia che era emersa da due anni di
governo Prodi e certificata alle elezioni di aprile mostra qualche squarcio.
Il movimento è fortemente politico anche se riesce ancora a stare oltre la
politica che abbiamo fnora conosciuto, oltre i riti e gli schemini della sinistra di
palazzo – per quanto il Pd cerca e cercherà di attirarlo a sé e di intestarsene
la rappresentazione politica. E’ politico, e segna la nostra fase, perché
soprattutto esprime il disagio di una generazione che non ha niente da
perdere, ha un futuro segnato dalla precarietà e dal disagio, sbarrato da una
destra oggi al potere che pensa solo al “piccolo mondo antico” – il maestro
unico, ora anche la canzone sul Piave cantata in classe – e che non ha
nessuna idea di futuro che non sia il filo spinato davanti alla porta di casa.
Per questo non ha paura, l’ha finita tutta.
Se c’è una possibilità di rigerenerare un discorso e una pratica anticapitaliste,
l’apporto di questi studenti può essere decisivo. Per questo siamo lieti di
essere immersi nel profondo delle occupazioni e delle mobilitazioni, di aver
intuito da tempo che nel mondo studentesco qualcosa stava per accadere.
Mentre il capitalismo “tossico” mostra per intero la sua crisi c’è qualcuno che
ha il coraggio di affermare che non quella crisi non vuole pagarla. E’ un
discorso in linea con le necessità dell’oggi, con la necessità di resistere.
Serviranno altre parole e altri discorsi per passare all’offensiva – e in
particolare andrà articolato un ragionamento sull’unità con il movimento dei
lavoratori e sull’autorganizzazione democratica del movimento. La priorità
dell’oggi è che la partecipazione cresca, il movimento si allarghi e si diffonda,
le occupazioni si moltiplichino fino ad arrivare all’obiettivo fondamentale di
veder ritirato il decreto e i provvedimenti del governo. Con determinazione e
a mani alzate, senza paura.

24 ottobre 2008

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DA il foglio del 24 ottobre
“Caro premier le offro un parere”
Adriano Sofri scrive al Cav. una lettera sull’edilizia scolastica e carceraria

Gentile presidente Berlusconi, le offro un parere. Non lo faccio in nome del
mio passato, ma del suo presente. Non lo ignori: ne va del suo futuro. Il tema
è: “Edilizia carceraria ed edilizia scolastica, per una visione sinergica”.
Svolgimento.
Non era difficile profetizzare che tutto quell’annunciare voti in condotta,
grembiulini, maestri unici e tagli secchi, e poi con quel tono ultimativo,
avrebbe svegliato il cane che dormiva, benché tutti i professionisti dello
sguardo sociale assicurassero che ormai si trattava di un letargo senza
scampo. E il metodo: tutto per decreto e voto di fiducia. E poi, più sventata di
tutto: la stagione. Dalla Finanziaria in qua, è stata una sequela di
provvedimenti annunciati e parzialmente attuati in piena estate, quando la
moglie e soprattutto i figli sono in vacanza, e si riceve un consenso vastissimo
presentando i programmi di governo a Cortina d’Ampezzo. Però poi la
moglie, e specialmente i figli, tornano dalle vacanze, e si chiedono come mai
non se ne sia fatto nessun conto. Per giunta trattandosi della scuola, cioè
dell’affare che riguarda pressoché senza eccezioni tutti i cittadini, stranieri
compresi. (Per i quali si trova il modo di decretare classi differenziate, che
magari, soprattutto dove le cose funzionano grazie all’iniziativa e al buon
senso dei veri responsabili, esistevano già di fatto in modo da sanare le
differenze di conoscenza della lingua, di ambientazione eccetera, ma senza il
madornale compiacimento di cambiarne per legge il nome, perché in questo
caso il nome è la sostanza). Il tono perentorio, e progressivamente ultimativo,
del suo ministro dell’Istruzione sconcertava chi, come me, pensa che il sonno
dei giovani sia sempre tutt’al più un dormiveglia.
Lo si poteva attribuire a una insicurezza travestita da sicumera. Chi può
chiedere a un ministro imprevisto, giovane e per di più – gran pregio – donna,
di presentarsi dichiarando: “Non so dove sbattere la testa, cercherò di sentire
in giro e di farmi un’idea, e di fare del mio meglio”? (Ma sarebbe bello, eh?).
Forse però non è inevitabile scegliere il tono opposto, perché il
napoleonismo gonfia lì per lì i sondaggi, ma fa arrabbiare la gente. E lei
ammetterà che quello che sta succedendo nel famoso mondo della scuola –
cioè nel mondo – è un esempio piuttosto singolare di divorzio fra i sondaggi e
la gente. Per così dire, i sondaggi si muovono in verticale, la gente in
orizzontale. Vedo che le cronache di ieri si sono soffermate su un errore di
pronuncia del ministro, come già prima su una sua predilezione concorsuale
per la Magna Grecia: errori veniali, direi, per un ministro, e in genere per una
persona, che sia lì anche per imparare e migliorare. Ma usare il termine
“terrorismo” a proposito della corrente mobilitazione della scuola, quello è un
errore blu. Ora lei, Silvio Berlusconi, ha deciso di dare man forte a questi toni,
e anzi li ha rincarati più volte, avvertendo che occupazioni scolastiche, sit-in
eccetera non sarebbero stati più tollerati, e finalmente proclamando l’invio
della polizia.
L’ha detto con una frase degna del maresciallo Radetzky, se il maresciallo
Radetzky fosse stato cattivo come si dice, e Maroni fosse stato il suo
attendente: “Gli darò – al ministro Maroni – istruzioni dettagliate su come
intervenire attraverso le forze dell’ordine”. Lei è animato dalle migliori
intenzioni, immagino, a cominciare dalla fedeltà alla sua giovinezza di
scolaro “modello e diligentissimo”. Ma non occorre essere particolarmente
discoli per voler bene alla scuola pubblica, e in particolare per voler avere
una voce nel capitolo del proprio futuro. Non so perché un uomo esorbitante
di buonumore com’è lei non dà un’occhiata disinteressata a strade e piazze
di questi giorni e non si congratula della magnifica varietà di facce colori
telefonini e parole, gran contraltare all’uniformità dei grembiulini (firmati, eh,
griffati!) e alle disciplinate code per il casting. Un enorme casting per il futuro
prossimo e remoto, diciamo. Buonumore, davvero. Altro che ricominciare con
la storia della strumentalizzazione. Ai ragazzi non piace che li si offenda
dicendoli strumentalizzati, e da chiunque: non sono mica scemi, e nemmeno
adulti in via di formazione. Sono persone, solo un po’ più agili. Non vorrei
essere indiscreto, ma ha provato a chiedere ai suoi ragazzi che cosa
pensano della polizia nelle scuole? Anzi: ha provato a chiedere alla polizia?
Lei ha questa immagine di ottimista e compagnone. E’ il punto debole di chi
vuole paragonarla al suo amico Putin. E’ difficile immaginarla sul tatami
dell’arte marziale mentre stende un docile collega del Kgb alto il doppio, o
mentre tiene un piede sulla schiena della tigre siberiana appena sgominata.
E perché vuole rovinarsi la reputazione? Vuole stanare scolari studenti e
rettori fin dentro i cessi? (Attenzione: è una citazione putiniana). Lei è uscito
quasi indenne perfino da una tragedia come Genova 2001, e ancora la si
associa, più che alla morte di un giovane o alle torture di Bolzaneto, alla
scelta delle fioriere. E adesso? “Non retrocederò di un centimetro – ha detto
ieri – avete quattro anni e mezzo per farci il callo”. Mah. Quattro anni e mezzo
sono lunghi, per ciascuno di noi. E quell’impegno a non retrocedere, come se
ci fosse qualcosa di male – mai bruciarsi i vascelli alle spalle – uno ha
l’impressione di averlo già letto, da piccolo, dipinto su un muro di qualche
casa diroccata dal bombardamento. Retroceda, dia retta a me.
Bene, fin qui abbiamo chiarito la questione dell’edilizia scolastica. Veniamo
ora all’edilizia carceraria. Avrà saputo anche lei che nelle galere italiane si
sta come d’autunno su un lastrico di topi. Ora lei non deve preoccuparsi che
gli uomini-topo insorgano, e divampi l’incendio delle prigioni e lo spettacolo
dei dannati arrampicati sui tetti, dell’epoca in cui lei era diligentissimo e io no.
Queste sono minacce agitate a fin di bene da quanti hanno il cuore spezzato
dall’infamia della situazione carceraria, compresi molti carcerieri (eppure lei
dovrebbe rimpiangere di non averci passato almeno una notte), che non
sanno più quale argomento escogitare per ottenere un po’ di ascolto. Ma non
è vero: non ci saranno – anch’io posso sbagliare, va da sé – non ci saranno
rivolte e grandi scioperi delle carceri, perché il loro è oggi un popolo di vinti e
di divisi, di schiacciati. In pochissimi hanno la forza di rivendicare un diritto,
fosse anche una branda al posto di un materasso lurido sul suolo: in tanti
chiederanno più spesso qualche goccia in più di psicofarmaco, o si
tagliuzzeranno le braccia e la pancia. Non c’è da preoccuparsene, dunque,
per il momento.
Ma ammettiamo invece che si mandi massicciamente (per forza, perché è
bastato che lei lo annunciasse per moltiplicare per dieci la mobilitazione delle
scuole, figuriamoci quando cominciassero ad arrivare le botte) dunque che si
mandi massicciamente la polizia nelle università e nelle scuole medie
superiori, e magari in quelle dell’obbligo occupate dalle mamme eccetera, la
polizia farà le seguenti cose: darà un po’ di manganellate sulle file più a
portata di mano, porterà fuori da qualche aula di peso studenti e studentesse
–”Non mi tocchi! Metta giù le mani!”, “Be’, allora cammina!” – e li depositerà
fuori, salvo ricominciare un’ora dopo. Farà delle vere cariche con regolare
preavviso, feriti, referti, eccetera. (Non voglio evocare conseguenze peggiori).
Ma in ogni caso all’intervento della polizia deve seguire quello della
magistratura, come al fulmine segue il tuono: e nell’una e nell’altra sequenza
tanto si interverrà e tuonerà che pioverà. La pioggia sono scolari studenti
ricercatori precari e, perché no?, qualche docente di ruolo messo in galera.
Nel ’68 i denunciati furono tante migliaia in pochi mesi che si dovette
sbrigarsi a fare un’amnistia, e gli incarcerati fecero la loro parte. Ecco, scusi il
cortocircuito finale del mio tema, rivelato il legame fra scuola e galera. Una
volta arrivati nelle galere questi nuovi inquilini, impareranno presto la lezione
(la galera non è più l’università del crimine di una volta, ma una specie di
Cepu dell’illegalità sì) e ancora più presto la impartiranno. Tetti e muri
carcerari torneranno a vacillare, e fuori migliaia di telefonini fotograferanno
tutto. All’edilizia carceraria sarà finalmente riconosciuta l’emergenza che le
spetta, come nei terremoti. Dica la verità: non è a questo che lei aveva
pensato, vero?

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La lezione degli studenti.” Io non ho paura”ultima modifica: 2008-10-24T23:18:00+02:00da mangano1
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