Gillo Dorfles, Le nuove tribù del conformismo

CORRIERE DELLA SERA, 20 novembre 2008
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gillo dorfles LE NUOVE TRIBU’ DEL CONFORMISMO

Modi & Mode Tra comunicazione, costume e simbolo: un saggio (edito da
Castelvecchi) sulle tendenze all’ imitazione individuale o di gruppo
Le nuove tribù del conformismo
Nel tenere la sigaretta o nell’ ascoltare musica si vede già l’ adeguarsi all’
opinione «corretta»

Il fenomeno del conformismo è stato spesso oggetto privilegiato della
sociologia novecentesca, quella che si è prevalentemente occupata dei
processi di natura comunicativa e simbolica tipici della società metropolitana
di massa. Per fare soltanto un nome, ricordo il grande Georg Simmel. Questo
fenomeno, tuttavia, deve interessare a mio modo di vedere anche l’ estetica. gilo1.jpg
E dunque, in modo più o meno indiretto, l’ arte in tutti i suoi molteplici aspetti.
Mi pare essenziale non limitare il conformismo a quello che è fin troppo facile
individuare, e cioè il modo di muoversi, il modo di comportarsi, di tenere tra le
dita la sigaretta o asciugarsi con il tovagliolo la bocca. Questi sono modi di
costume banali, mediocri, che non fanno, per così dire, male a nessuno,
anche se molto spesso indicano scarsa educazione o raffinatezza in un
individuo. Invece molto più grave è quando questo conformismo, questo
adeguarsi in modo fasullo, tocca e incrina anche l’ universo artistico. Allora
abbiamo la non arte di tanti pittori che vanno per la maggiore, il conformismo
delle canzonette, addirittura quello dei grandi classici che vengono incensati
solo in quanto costretti a fare forzatamente parte di quella mentalità borghese
– nel senso deteriore del termine – che accetta soltanto ciò che ormai è
diventato comune e del tutto impersonale, anonimo. Probabilmente anche
perché vi trova la posticcia soddisfazione di associarsi a quella che ritiene
essere la giusta ricezione dell’ arte e che invece è solo quella della vasta
platea di mezze calzette che una società di massa non può non produrre.
Quando va al concerto ad ascoltare Bach, l’ uomo kitsch rende kitsch anche
questa musica elevatissima. Non basta quindi che si possa giustamente
rilevare il conformismo della persona verso un’ opera mediocre, giacché può
distinguersi anche il conformismo di chi rispetta un’ opera elevatissima, ma la
fruisce in maniera appunto del tutto conformistica. Mi è sempre parso
insomma che alla base di quello che, in questo caso a torto, chiamiamo kitsch
– vale a dire ciò che non è arte mentre sembra arte, anzi vorrebbe sembrare
arte – ci sia proprio la questione del conformismo. In altre parole: quando un
determinato habitus mentale finisce per essere accettato dalla maggioranza
senza alcun accenno critico o di autocritica, finisce per diventare conformista.
Quindi si tratta fondamentalmente di un problema sia educativo sia di
consapevolezza culturale. È ovvio che non si potrà mai parlare di un
conformismo di Raffaello o di Michelangelo. Ma quando dalle arti maggiori
passiamo a quelle secondarie o legate alla moda e alla società di massa,
allora molto spesso questi elementi diventano conformistici. Indubbiamente
anche un’ analisi empirica, o diciamo fenomenologico-descrittiva, come
quella che io propongo qui su questa materia, risente di idiosincrasie
personali, gusti e disgusti individuali. Io credo che l’ elemento soggettivistico
sia ineliminabile, anzi sia sempre dominante nel sapere, quindi è difficile che
una persona – o anche uno studioso in sede teoretica – possa pretendere di
restare perfettamente esente da questa adeguazione. Le proprie inclinazioni,
la propria educazione, il proprio modo di essere e di atteggiarsi verso il
mondo finisce per ridondare anche sui nostri giudizi. È proprio per questo che
credo che ognuno debba rendersi conto che alcune volte, anche se pensa di
essere nemico del conformismo, finisce per ricaderci a causa dei suoi vizi e
delle sue preferenze. E questa è una specie di confessione! Esiste un
conformismo tutto e specificamente italiano, implicito in quella che potremmo
chiamare la nostra antropologia? Possiamo certo chiedercelo. Ma a questo
proposito devo dire che applicherei questa possibilità non tanto all’ Italia in
quanto tale, in toto come nazione, ma all’ Italia delle regioni. Ossia c’ è
indubbiamente un conformismo che corrisponde a una maniera d’ essere di
persone provenienti da determinate regioni d’ Italia, perché il comportamento
dei liguri rispetto a quello dei siciliani, per dire di due estremi, o il
comportamento dei sardi rispetto a quello dei veneti, è talmente e
pervicacemente opposto, che quello che è conformista per un ligure non lo è
per un veneto e così via. Certi conformismi regionali sono tuttora – nonostante
l’ omologazione della società massificata – molto più forti, a mio parere, del
conformismo italico tout court, che pure esiste. E per di più sono convinto, e lo
dico certo non per accogliere le ragioni leghiste, che sarebbe sbagliato
abolire queste differenze. Credo però che a questo punto si debba operare
una distinzione opportunamente chiarificatrice, che d’ altronde viene già fatta
molto spesso: quella tra opinione pubblica e common sense, espressione
che non si può tradurre semplicemente con «senso comune» e che sta per
così dire al di sopra dell’ opinione pubblica. Sarebbe del tutto errato dire che
il common sense è conformista. Un individuo può sottostare al common
sense perché ciò è positivo per la sua socializzazione, mentre invece quella
che è l’ opinione pubblica nel senso letterale del termine è l’ opinione
massiva, quindi l’ opinione delle fasce sociali meno evolute e meno preparate
culturalmente. Ci può essere dunque un non adeguamento all’ opinione
pubblica assieme a una contestuale accettazione del common sense. Un
altro punto importante. Quello dei rapporti tra conformismo e sfera politica è
un problema molto delicato. La politica, in un certo senso e per certe sue
strane vie, assorbe quello che è un modo di vivere e di comportarsi della
popolazione (che poi è composta di elettori), e quindi potrebbe «restituirlo» in
chiave autoritaria. Purtroppo credo che si possa anche parlare perfino di un
conformismo «dittatoriale». Nel periodo fascista abbiamo visto l’ adeguarsi
della gente a certe abitudini neanche imposte, come il braccio alzato nel
«saluto romano» e altre cose di questo tipo. Erano semplicemente il risultato
dell’ adeguamento conformistico della popolazione italiana a un rito comune.
E proprio a questo proposito ho osservato, in questo libro, quello che era
successo con il passaggio del fronte. Dopo alcune settimane o pochi mesi, il
tipico saluto americano – la mano aperta agitata all’ altezza della spalla -, che
non era per niente legato al costume italiano, era stato adottato da molte
persone. È un esempio del conformarsi all’ uso e ai modi del nuovo vincitore,
in cui un elemento estraneo si insinua e si estende in virtù di un fenomeno di
puro e semplice mimetismo conformistico. Qui va detto che senza alcun
dubbio il conformismo ci rinvia a qualcosa che, tramite appunto il principio
mimetico, si ripete e si riproduce automaticamente. Sembrerebbe perciò che
si possa parlare di rito, un elemento come ben sappiamo molto importante e
fondativo nella storia della cultura e della civiltà non soltanto religiosa. Ma
non è così. La differenza è sostanziale. Per arrivare al rito bisogna che questo
finisca per istituzionalizzarsi in maniera spontanea. Ossia un rito non si può
mai creare dal di fuori, ma sempre e per definizione dall’ interno della
comunità. Nell’ altro caso, quello del conformismo, abbiamo a che fare
comunque e in ogni caso con qualcosa di estrinseco, anche se le sue forme
mutano con i tempi e le diverse culture. Credo che tra il rito e il conformismo
ci sia questa sostanziale differenza. È per questa ragione che non diremo mai
che andare in chiesa e farsi il segno della croce è conformistico, poiché tale
gesto può essere compiuto dal credente oppure dal non credente che in quel
caso e in quella circostanza si adegua, anche per una forma di rispetto, a
quello che è il rituale. Ma non c’ entra per nulla il conformismo. E bisogna
sottolineare che ciò vale per il rito di natura religiosa come per quello di
natura, poniamo, patriottica, come il saluto al tricolore o la mano sul cuore.
Proprio a partire da questa distinzione, atteggiamenti conformistici
coinvolgono anche l’ evento della morte nel suo momento sociale. A
prescindere dal fatto che ho sempre trovato inaccettabile ai funerali l’
applauso alla salma, non c’ è tuttavia alcun dubbio che la forza del
conformismo è tale che a volte, quando si traduce in rito, dobbiamo
arrenderci. Forse bisogna accettare che il conformismo possa esercitare
anche una funzione etica, per esempio rispetto alla morte e alle cerimonie
pubbliche che ne conseguono, di cui solitamente non ci rendiamo conto. Mi
riferisco ad esempio alla terra gettata sulla bara e a molte altre cose di questo
tipo: hanno una base squisitamente rituale che, per così dire, riscatta in certo
qual modo e sotto diversi aspetti il modus conformistico. Poi occorre fare un’
altra importante precisazione, che forse può aiutare a chiarire, a illuminare la
pluralità e anche la difformità degli elementi che vengono messi in gioco
quando si parla del conformismo. C’ è un’ altra adeguazione da tenere in
debito conto, ed è precisamente quella al proprio conformismo. Perché se
esiste un conformismo sociale esiste anche un conformismo idiosincratico,
individuale, personale. Io difendo il mio proprio conformismo, ma ciò non può
non avvenire che partendo dal fatto che riconosco l’ esistenza di un
conformismo «ritagliato» sulla mia misura. Un caso molto semplice: il caso di
toccarsi fisicamente, tattilmente tra uomini, le pacche sulle spalle, quel finto
senso di amichevolezza, quell’ informalità esibita, falsa e forzata espressa da
abbracci, effusioni enfatiche e via dicendo. Bene, io ho sempre avuto un
rifiuto istintivo per tutto ciò, e naturalmente questo finisce per diventare un mio
conformismo personale. Però credo anche che questo sia il terreno su cui il
conformismo può rivelarsi positivo. Il famoso bacio salottiero, di moda su per
giù da una trentina di anni, prima non esisteva affatto. Questo tipo di
effusione, senza alcuna implicazione sentimentale o esplicitamente erotica, a
un certo punto l’ ho adottato anch’ io, e così mi sono arreso all’ abitudine
comune del bacio salottiero. Non che mi costasse granché, perché nella
maggior parte delle volte si trattava di baciare belle ragazze, però mi rendevo
conto che era un atto automatico e appunto conformistico, visto che non c’ era
nessuna ragione fisica o sentimentale in virtù della quale dovessi
abbracciare una ragazza o una signora che magari conoscevo soltanto
superficialmente. Diciamo perciò che in questo particolare caso mi sono
adattato a un conformismo che non mi dispiaceva. Oppure applaudire a
teatro o in una sala da concerto. A me non piace applaudire in genere. Ma
quando assisto a uno spettacolo che merita il plauso, applaudo anch’ io e se
tutti applaudono significa che mi adatto a un gesto conformistico. Poi c’ è il
conformismo dello snob, che risulta ancora più grave e irritante di quello
mostrato dalle persone culturalmente indifese, che anzi proprio non dovrebbe
irritare più di tanto. Quello poniamo del grande borghese, del grande
finanziere che si adegua a certi cerimoniali solo perché di moda in certi
ambienti. Questo è il peggiore tipo di conformismo, dal momento che è
accettato e praticato deliberatamente, consapevolmente, in nome dello
snobismo: davvero deleterio. A questo punto, allora, entra qui in gioco il tema
dell’ autenticità; ma oggi qualcosa come l’ autenticità è merce molto, molto
rara. Così rara che se effettivamente può essere conservata e preservata in
alcuni casi, in alcuni ambiti finisce per trasformarsi in qualcosa di realmente
prezioso. Ad ogni modo, viviamo in un’ epoca in cui regna l’ inautentico.
Tuttavia, dobbiamo riconoscere un fenomeno estremamente importante, e
cioè che la quasi scomparsa del concetto stesso di autenticità e della sua
aura è un processo profondamente legato alla modernità. E non è affatto
detto che quel concetto dobbiamo sempre e in tutti i casi rimpiangerlo, anche
perché molto spesso l’ autenticità stessa, è cosa nota, può diventare un
feticcio conformistico. Nell’ oratorio della chiesa alla Fondazione Cini a
Venezia, si può ammirare la riproduzione elettronica del Veronese della
National Gallery di Londra. È stupefacente, perfettamente identico, «lo
stesso» anche se non lo è. Si fa davvero fatica a considerarlo una copia. Nell’
era dell’ informatica, dell’ elettronica, del virtuale, ogni tipo di autenticità è
sconfitta. Salvo che per questioni affettive. Ad esempio, ho in tasca un oggetto
appartenuto a mio nonno dal quale non mi separerei mai; tuttavia questo è un
feticcio a cui solo io ho assegnato questa particolare valenza. Ma l’ autenticità
dell’ unicum benjaminiano oggi non ha davvero più senso. E anche da
questo possiamo accorgerci di quanto il fenomeno del conformismo sia
cruciale per i tempi che stiamo vivendo.

L’ autore Il libro
Anticipiamo l’ introduzione di Gillo Dorfles alla nuova edizione del suo saggio Conformisti.
La morte dell’ autenticità, oggi in libreria, editore Castelvecchi (I Timoni,
pagine 115, 14,50): un viaggio attraverso i vezzi e i cerimoniali coatti della
società di massa Le opere Gillo Dorfles, critico d’ arte, già ordinario di
Estetica, ha pubblicato fra l’ altro Il divenire delle arti (1959), Nuovi riti, nuovi
miti (1965), Il Kitsch (1968), Le oscillazioni del gusto (1970), La moda della
moda (1984), Horror pleni (2008) I modi per sentirsi uguali agli altri Baciarsi
nei salotti Preferire cure alternative Partecipare ai girotondi Applaudire al
funerale

Gillo Dorfles, Le nuove tribù del conformismoultima modifica: 2008-11-21T17:42:00+01:00da mangano1
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