Andrea Romano, Nel paese reale esiste ancora una sinistra

da Il Riformista del 20 febbraio 2009,

Andrea Romano, Nel paese reale esiste ancora una sinistra
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L’otto settembre della sinistra italiana? Non confonderei il tramonto di una
piccola e stanca oligarchia con la scomparsa di un pezzo d`Italia che
continuerà a chiedere rappresentanza e governo fuori dal berlusconismo.
D`accordo, dentro quelle stanze la situazione è pessima. D`altra parte se la
sono cercata, e non da ieri. Ma se si mette anche solo la punta del naso fuori
dalla porta, la situazione appare tutt`altro che disperata. Perché nel nostro
paese un Partito democratico esiste ben da prima che gruppi dirigenti già
sconfitti si inventassero un`ultima ancora di salvezza. Ed è destinato a
sopravvivere all`implosione forse definitiva degli equilibri che quei gruppi si
erano dati. Quel partito era e rimane il partito di coloro che da quindici anni
votano nella stessa direzione, chiedendo più o meno le stesse cose. Non
sono necessariamente gli italiani migliori, nel senso perbenista raccontato
dalla mitologia morale del post-comunismo. Forse non sono nemmeno i più
solidali d`animo, ma chiedono un welfare che funzioni, anche se trasformato
in profondità, perché si fidano pragmaticamente delle virtù del vincolo
sociale. Sono quegli stessi italiani che, credenti o non credenti, riconoscono
alla fede religiosa una dignità che ha poco a che fare con le ideologie del
neo-laicismo e del neo-clericalismo. Si aspettano un servizio decoroso dalla
scuola pubblica non da militanti partigiani dello statalismo, ma perché
auspicano che i propri figli abbiano un futuro migliore di quello che è toccato andrea1.jpg
in sorte a loro. Quegli elettori sono anche e in grandissima maggioranza
persone che lavorano o che hanno lavorato tutta la vita, senza particolari
eroismi ma con inevitabile dedizione. Gente che quindi si aspetta che la dignità del lavoro sia tutelata, insieme ai
diritti sindacali, come strumento di miglioramento delle proprie condizioni
reali e non come forma di garanzia di apparati corporativi. C`è naturalmente
molto altro nella sinistra italiana, ovvero nel pezzo d`Italia che dagli anni
Novanta in avanti ha votato per l`Ulivo e i suoi vari satelliti. Così come al suo
interno convivono massimalisti e riformisti, credenti e non credenti, nostalgici
del Pci e della De insieme a elettori ormai trentenni che non hanno fatto
neanche in tempo a conoscere quei partiti. Ma c`è soprattutto un grado di
conflittualità ereditaria molto minore di quella che ha diviso e perduto una
leadership collettiva che vediamo decomporsi in questi giorni. Non è più
tempo di contrapporre una mitologica «società civile» ad un`altrettanto
virtuale «politica forte», come accadde ormai quindici anni fa all`indomani di
una slavina destinata a cambiare le elite politiche nel centrodestra molto più
che nel centrosinistra. Non è più tempo di farlo soprattutto perché la sinistra
del paese reale ha già iniziato a produrre le proprie classi dirigenti, senza
attendere il via libera del centro. Per ora è accaduto a livello locale, nelle
molte città dove non governano tecnici prestati all`amministrazione ma politici
di professione che hanno saputo costruire con il proprio elettorato un
rapporto di classica responsabilità democratica. Matteo Renzi è uno di questi,
ma molti altri come lui hanno saputo dare visibilità a quella sinistra
ragionevole e popolare che chiede solo di essere rappresentata. Ecco
perché l`ipotesi della fine del Pd attraverso una scissione è quanto di più
lontano dalla realtà politica del paese, potendosi immaginare solo come
ultima rappresaglia tribale. Mentre la via d`uscita dal pantano in cui si è
cacciata questa pattuglia di reduci è forse più semplice di quanto non appaia:
lasciare che la sinistra reale del paese reale si dia una leadership in grado di
rappresentarla, attraverso un percorso di selezione necessariamente lungo e
combattuto. Certamente non mancano i candidati possibili né il tempo,
perché nei prossimi due anni non accadrà niente che richieda al
centrosinistra l`assunzione di una responsabilità di governo nazionale.
Quello che manca è il minimo di lucidità necessaria ad avviare il percorso. E
chissà se in quelle stanze ne è rimasta almeno un po`.

Andrea Romano, Nel paese reale esiste ancora una sinistraultima modifica: 2009-02-21T21:51:00+01:00da mangano1
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2 pensieri su “Andrea Romano, Nel paese reale esiste ancora una sinistra

  1. Una sconfitta cercata a lungo
    di Giovanni Sartori – 25/02/2009

    Fonte: Corriere della Sera

    Povera sinistra. Peggio messa di come è non potrebbe. E l`onda lunga che l`ha portata al tracollo viene da lontano, da molto più lontano di quanto i commentatori ricordino. L`altro giorno l`elezione di Dario Franceschini a nuovo segretario del Pd è stata una decisione sensata e forse l`unica possibile. Ma il salvataggio viene rinviato a elezioni primarie che dovrebbero spazzare via la vecchia nomenklatura e ` miracolosamente scoprire nuovi leader. Le primarie:sono state una fissazione di Prodi; e sinora si sono rivelate un enorme dispendio di energie senza frutto, che nord hanno fondato o rifondato un bel nulla. Per carità, riproviamo ancora. Ma non illudiamoci che scoprano ignoti né quello che non c`è. A oggi ogni capopartito ha allevato i suoi e cioè potenziato la sua fazione, la sua corrente, promuovendo gli obbedienti (anche se deficienti) e cacciando gli indipendenti (anche se intelligenti). Pertanto la crisi di leadership della sinistra è una realtà dietro la quale non è detto che si nascondano geni incompresi, geni repressi.
    Il guaio risale al fatto che per una trentina di anni abbiamo avuto la più grande sinistra dell`Occidente, che era però egemonizzata dal Pci e forgiata; dallo stalinismo di Palmiro Togliatti. Non era una sinistra addestrata a pensare con la sua testa, ma invece ingabbiata nel preconfezionato di un dogmatismo ideologico. Caduta la patria sovietica, quel pensare e pensarsi che altrove ha rifondato la sinistra su basi socialdemocratiche da noi non si è risvegliato. La fede comunista si è semplicemente trasformata in un puro e semplice cinismo di potere; e il non pensare ideologico, il sonno dogmatico del marxismo, si è semplicemente trasformato nella sconnessa brodaglia del «politicamente corretto». Una brodaglia nella quale anche il semplice buonsenso brilla per la sua assenza. Dunque la malattia è grave e di vecchia data. Una malattia che coinvolge anche – passando al versante pratico del problema – l`erosione dei bacini elettorali tradizionali della sinistra. In passato la sinistra era, in tutta semplicità, il partito del proletariato operaio. Quel proletariato non esiste più. Lo ha sostituito un sindacalismo che in passato obbediva al partito, ma che ora lo condiziona.
    Domanda: il collateralismo o condizionamento sindacale conviene davvero, oggi, alla «sinistra `di governo» (come diceva Veltroni)? Ne dubito. La Cgil è oramai un sindacato antiquato «di piazza e di sciopero», abbandonato dai giovani, che rappresenta i pensionati (la maggioranza dei suoi tesserati), che difende gli sprechi e anche i fannulloni. E siccome siamo al cospetto di una gravissima crisi economica, la sinistra non la può fronteggiare appesantita dalla palla al piede della Cgil. O così mi pare. Altra domanda, questa volta sul collateralismo (dico così per dire) con la magistratura. Fermo restando che l`indipendenza del potere giudiziario è sacrosanta, il fatto resta che gli italiani sono indignati per la sua lentezza e inefficienza. Prodi si vanta di avere vinto due elezioni. Allora ci spieghi perché, in vittoria, non abbia alzato un dito per aiutare e anche costringere la giustizia a funzionare. La sinistra fa bene a difendere il potere giudiziario dagli assalti interessati di Berlusconi. Ma fa male a non difendere un cittadino così mal servito da una giustizia, diciamolo pure, ingiusta.

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