Igor Man, L’attacchino

da LA STAMPA 22 MAGGIO 2009
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Ciao Sandro, gli attacchini di Roma ti ricordano con affetto» è scritto a lettere bianche su di un triste, interminabile sfondo nero. Ma chi è Sandro e perché questo manifesto grande come un’ideale cornice alla Salvator Rosa? E il messaggi, così insolito, da chi viene, a chi va? «Roma non basta una vita», sentenziò Silvio Negro. E Luigi Ceccarelli, romanista-poeta, ammoniva che bisogna sempre «capire» di quale Roma si parla, volta per volta, caso per caso. 

Il manifesto bianco e nero che ha letteralmente invaso la capitale – di nuovo bellissima dopo insolite giornate di pioggia importuna perché fuori calendario – è semplicemente il commiato (definitivo) degli attacchini romani a un loro compagno di fatica e di «ideali», Sandro Francavilla, stroncato da un devastante aneurisma cerebrale. (Aveva cinquantasei anni soltanto: anche la morte ha il suo giorno di nascita, sentenzia, amaro, lo scaccino di Santa Maria in Monticelli).

Sandro fu comunista sin da fanciullo, così come fu attacchino da sempre. Attacchino de sinistra. Quello dell’attacchino è un mestiere nobile, almeno a Roma, non fosse altro perché chi lo esercita nel partito ce crede, insomma partecipa. Abbiamo visto quel capolavoro ch’è Ladri di biciclette ma non tutti gli attacchini hanno appesa la disgrazia al collo come quel disgraziato che, privato della sua scassata bicicletta, è un angelo senz’ali precipitato nell’inferno del traffico romano. Sandro cominciò presto a far politica, se lo ricordano in tanti: «Un ragazzo sveglio, batteva tutti quando “i compagni”, anche quelli più importanti, la domenica si improvvisavano “strilloni” e l’Unità andava a ruba». Aveva fatto i suoi bravi studi d’obbligo ma la gioia di leggere – per capire e capirsi, come diceva – ne aveva fatto un assiduo frequentatore della libreria Feltrinelli dove, «se ci metti l’anima e hai piedi forti, puoi leggerti un libro intero, gratis».

C’è una sana rivalità nel mondo degli attacchini di Roma. Epperò son finiti i tempi delle «ammucchiate» quando esplodeva la campagna elettorale e gli attacchini se le davano di santa ragione. «Altri tempi», sospirano in via de’ Giubbonari dove nacque e crebbe la più antica sezione comunista di Roma. Una volta, or è tant’anni, Federico Coen volle avermi ai Giubbonari per un dibattito (manco a dirlo) sulla Palestina: serrato, sinanco rovente ma civile, all’insegna del rispetto. Altri tempi.

Va detto ancora qualcosa degli attacchini: considerano un’arte, ancorché minore, quella che esercitano da sempre. Una volta Sandro ci illustrò la sua tecnica che aveva bisogno soltanto di un secchio con buon amido sapientemente miscelato alla colla e uno spazzolone da Upim. Un buon attacchino non spreca una goccia del suo secchio, nelle sue mani lo spazzolone diventa una durlindana. Con l’anima spuntata, ahimè. 

Ma perché racconto di un attacchino? Perché quel saluto appiccicato con l’amido simboleggia la scarsa presa, oggi, di un partito che fu veramente storico. È l’addio al vecchio Pci e qui, nella Roma artigiana, le imminenti elezioni sono vissute come l’ultima scommessa: resistere o scomparire. 

Igor Man, L’attacchinoultima modifica: 2009-05-22T22:01:00+02:00da mangano1
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