DA IL RIFORMISTA
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Le cause giuste
e la logica della guerra
di Ritanna Armeni
Evitare i conflitti, risolvere le contraddizioni, trovare altre soluzioni non è questione che riguarda solo “le anime belle” del pacifismo
Adesso che Berlusconi e la destra hanno dubbi sulla guerra e la sinistra sono interventisti come la mettiamo? Adesso che il governo è imbarazzato e ha paura delle conseguenze economiche e sociali di un attacco alla Libia, la risposta della sinistra non può e non deve essere altro che la necessità dei bombardamenti in nome della lotta al tiranno?
Certo non possiamo dimenticare che l’intervento italiano è la risposta alla richiesta di aiuto di parte consistente della popolazione libica che vuole libertà e democrazia. Una richiesta tanto più importante perché arriva all’interno della “primavera araba” cioè di una ribellione alla tirannide che va dall’Egitto alla Tunisia allo Yemen al Barhein e che noi occidentali non avevamo assolutamente previsto avendo per molti anni inforcato gli occhiali dell’antislamismo. Certo l’aiuto a quel popolo non può non essere la stella polare che deve guidare nelle scelte, ma, proprio per questo, non possiamo evitare alcune domande di fondo. E non possiamo evitarle neppure se esse – così almeno sembra – possono aiutare l’opportunismo, la confusione e gli interessi della destra e se oggi il pacifismo sembra andare più d’accordo con i tentennamenti di Berlusconi e la xenofobia di Bossi che con la necessità interventista della sinistra.
La domanda di fondo è questa: non c’è e non ci può essere altro modo di sostenere i valori della libertà, della democrazia e della giustizia se non quello di bombardare il paese in cui si sta svolgendo la lotta contro il tiranno? Non è possibile nessun altro modo di risoluzione di una questione così importante come l’aiuto a popolazioni indifese che rischiano di venire massacrate che aggiungere il rischio del nostro intervento? E ancora: perché i popoli e gli Stati non hanno trovato finora nessun modo di risolvere le controversie internazionali o il problema del sostegno alle vittime della tirannide se non la guerra? Certo queste domande si possono porre e sono state poste per tutte le guerre che hanno dilaniato il pianeta negli ultimi decenni. Ma negli ultimi conflitti la motivazione politica e ideale non era così limpida e oggettivamente condivisibile da tutti. Anzi le motivazioni occulte, geopolitiche ed economiche sono state immediatamente chiare e hanno diviso una destra interventista, antislamica e bushiana e una sinistra tendenzialmente pacifista, contraria all’esportazione della democrazia con la guerra, preoccupata di destabilizzare una parte così importante del pianeta. Gran parte della popolazione mondiale non ha condiviso e ha ritenuto una frottola l’intervento per l’esportazione della democrazia in Iraq, la guerra in Afghanistan è considerata oramai dall’opinione pubblica non solo di sinistra un errore dal quale è ormai difficilissimo tirarsi indietro. Diversa la questione della guerra nell’ex Jugoslavia dove i bombardamenti furono giustificati da un intervento umanitario e dal massacro di un popolo e furono appunto sostenuti dalla sinistra. Come appunto sta avvenendo in Libia, paese in cui, peraltro, la guerra umanitaria si colloca in un contesto più generale e insperato di ribellione dei popoli del Maghreb oppressi dalle dittature.
Ma proprio questo contesto “giusto” fa risaltare l’ingiustizia profonda del conflitto e la terribile arretratezza di una umanità che è riuscita a progredire o, almeno, a registrare una evoluzione in tanta parte della vita civile e culturale ma continua a ritenere la guerra il prolungamento necessario e naturale della politica. E che non è riuscita a pensare a nessun’altra soluzione neppure per le cause più giuste. Come se le guerre fossero inevitabili in quanto parte delle categorie dell’umano. E fosse impossibile sottrarsi a esse, inutile tentare di eliminarle.
Se questo rimane l’orizzonte, se questo l’assioma condiviso da tutti le divisioni il dibattito anche sulle guerre “giuste” non può avvenire che per convenienza, come appunto sta accadendo in Italia fra una destra in difficoltà che non vorrebbe guai e divisioni, ed è seccata di una immagine internazionale che ridimensiona e ridicolizza il suo governo, ma che sarebbe pronta a un altra guerra, con altri ruoli e con altri alleati e una sinistra che oggi appare appagata dalla coincidenza della lotta al tiranno Gheddafi con quella all’odiato Berlusconi. E quindi non sa fare altro che chiedere un intervento armato, riconfermando la bontà del mezzo – la guerra , la violenza – quando i fini sono giusti e sottraendosi a domande più importanti e a uno sguardo più lungo sul mondo. Sarebbe più utile che politici, intellettuali e mass media occidentali dedicassero le loro energie a come fare per evitare le guerre pur continuando a combattere le ingiustizie, la mancanza di libertà e di diritti piuttosto che appoggiare gli opportunismi più o meno camuffati degli schieramenti politici. E aumentare la confusione di molti cittadini. Sarebbe opportuno cercare sui temi della lotta per la libertà e dei diritti nel mondo un atteggiamento meno opportunista e contraddittorio: in Libia si interviene perché non si è intervenuti in Darfur? Perché i diritti e la democrazia calpestati in Arabia Saudita o in Cina vengono ignorati e in altri paesi assunti a motivo della condanna politica o dell’isolamento internazionale?
Ci stiamo avviando verso un’era di grandi sconvolgimenti, siamo solo all’inizio di un periodo di grande destabilizzazione dal quale saremo coinvolti. Evitare la guerra, risolvere le contraddizioni, trovare altre soluzioni non è questione che riguarda “le anime belle” del pacifismo, ma chiunque non voglia adeguarsi a un brutto “esistente” e a un ancor più brutto futuro.