Tenente Colombo, non indaghi più
Bye bye, Peter Falk
di Alberto Crespi
La notizia della morte di Peter Falk suscita un’indicibile tristezza. Non solo perché scompare un artista amatissimo dal pubblico, che grazie ai telefilm del tenente Colombo si era abituato a considerarlo un amico di famiglia, piuttosto che un attore. Ma anche perché Falk, da un po’ di anni, faceva parlare di sé solo per motivi dolorosi, a causa di una forma gravissima di Alzheimer. In diverse occasioni era stato intercettato dalla polizia di Los Angeles mentre si aggirava per la città in condizioni pietose, degne di un homeless piuttosto che di un ex divo. La sua seconda moglie Shera Danese e la figlia adottiva Catherine – che, ironia della vita, fa di mestiere l’investigatrice privata – si erano disputate la sua custodia, arrivando fino in tribunale (alla fine, nel 2009, l’aveva spuntata la consorte).
Oggi è ovvio, e fin troppo facile, dire che è morto il tenente Colombo. Un personaggio così ti segna per la vita, come il Maigret di Cervi o il Montalbano di Zingaretti. La serie (che in America si intitola “Columbo”, con la “u”) nasce nel ’68 e arriva in Italia 9 anni dopo, nel 1977. Con l’inconfondibile doppiaggio di Giampiero Albertini, Colombo diventa, grazie alla tv, un abituale e graditissimo frequentatore dei nostri salotti.
Il suo modo arruffato e infallibile di indagare e di raccontare storie buffe sulla moglie che non si vede mai diventa un marchio; così come lo schema narrativo, che ci mostra sempre l’omicidio in apertura – il pubblico sa già chi è il colpevole – e ci fa attendere l’ingresso in scena del tenente con complice trepidazione. Falk interpreta Colombo in 116 episodi: uno, “Un giallo da manuale” del 1971, è diretto da un giovanissimo Steven Spielberg. Ma non c’è solo Colombo nella vita e nella carriera di Peter Falk. Nato a New York nel 1927 da famiglia ebrea (il padre viene dalla Polonia, la madre dalla Russia), il piccolo Peter perde un occhio a causa di un tumore a 3 anni.
L’occhio di vetro che porterà per tutta la vita diventerà, col tempo, quasi un marchio di fabbrica, ma all’inizio della carriera gli procurerà anche molte delusioni: una leggenda hollywoodiana racconta che il boss della Columbia Harry Cohn, noto per i suoi modi molto rozzi, lo rifiutò dopo un provino dicendo «per la stessa cifra posso avere un attore con due occhi». Comincia in televisione, con piccoli ruoli (anche nella serie “Alfred Hitchcock presenta”), poi entra nel cinema dalla porta principale interpretando il piccolo gangster Carmelo in “Angeli con la pistola” di Frank Capra, nel 1961: curiosamente il ruolo costringe l’ebreo Falk a caratterizzarsi come italiano, cosa che si ripeterà con Colombo. Diventa un attore da commedia in film come “Questo pazzo pazzo pazzo mondo” e “La grande corsa”. Recita anche in un film italiano, o per meglio dire diretto – in America – da un italiano: “Gli intoccabili”, di Giuliano Montaldo, nel quale lo coinvolge l’amico John Cassavetes che della pellicola è il protagonista.
Cassavetes è, con Colombo, l’altro nome-chiave di questa storia. Il geniale attore-regista di origine greca si divide fra ruoli da «cattivo» in produzioni super-hollywoodiane e regie al limite dello sperimentale, nelle quali coinvolge un ensemble di attori-complici che costruiscono i film con durissime prove e improvvisazioni. Falk è uno di loro, assieme a Ben Gazzara: i tre – anche Cassavetes, qui pure attore – fanno vivere quell’immenso capolavoro che è “Mariti”, del 1970; poi il solo Falk è la superlativa spalla di Gena Rowlands in “Una moglie” (1974), altro gioiello solo diretto da John. Bisogna dire che la sua recitazione in questi capolavori è molto simile a quella sfoggiata nei telefilm di Colombo: Falk è, in parole povere, uno che recita come respira, che non sfoggia la propria tecnica (per altro sopraffina), che sembra passare di lì per caso. Certo non si risparmia i vezzi (le famose occhiate dal basso di Colombo quando sta per gelare i colpevoli con l’ultima domanda, che si era quasi dimenticato…) ma riesce a farli sembrare autentici. Insomma un attore superbo, bravo nel brillante come nel drammatico: pronto, dopo altri film azzeccati come “Una strana coppia di suoceri” e “California Dolls”, a un altro grande incontro. Nel 1987 Wim Wenders lo chiama per un ruolo «doppio» e bellissimo nel famoso “Il cielo sopra Berlino”: Falk fa se stesso, un attore in Germania per girare un film, ma nel corso della storia si scopre che anche lui in passato era un angelo che ha rinunciato alle ali per vivere la vita degli umani.
Falk replicherà nel seguito, meno riuscito: “Così lontano così vicino”, del 1993. E’ l’ultimo ruolo importante di una grande carriera: poi, purtroppo, la malattia e l’oblio. Ma chi ha visto anche una sola puntata di Colombo non lo dimenticherà mai.