GIORGIO VASTA,Ti è mai capitato di amare qualcuno?

21/09/2011 – ANTEPRIMA
Ti è mai capitato di amare qualcuno?

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King Kong nell’immagine di un manifesto per il film del 1933

Intervista impossibile con il supergorilla protagonista di tanti film
GIORGIO VASTA

Le «interviste impossibili» sono un genere di lunga tradizione, nato sulla scia di una trasmissione in onda tra il 1973 e il 1975 sul primo e sul secondo canale radiofonico della Rai. Si trattava di dialoghi fantasiosi con grandi personaggi del passato, ideati e realizzati da intellettuali prestigiosi (Italo Calvino alle prese con l’uomo di Neanderthal, Edoardo Sanguineti con Francesca da Rimini, Umberto Eco con Muzio Scevola) e letti da attori famosi. Tra gli autori (spesso anche regista) Andrea Camilleri. Quell’esperienza fortunata rivive ora in Ti vengo a cercare , una raccolta di interviste impossibili curata da Valentina Alferj e Barbara Frandino, in uscita venerdì per Einaudi (pp. 551, 21), a cui contribuiscono tra gli altri lo stesso Camilleri, Domenico Starnone, Giancarlo De Cataldo, Paola Mastrocola, Tiziano Scarpa, Simonetta Agnello Hornby, David Riondino, Dario Voltolini, Marcello Fois, Marco Desiati. Anticipiamo un brano dall’intervista di Giorgio Vasta con King Kong, il gigantesco gorilla nato dalla fantasia di Edgar Wallace, che qui rivela un sorprendente struggimento amoroso, e che non vuole essere chiamato King, re: «Non l’ho scelto io, è vezzoso, un po’ ridicolo».

(KING) KONG. «Cosa sono io?».
VASTA. «King Kong. No, scusa, solo Kong».
(KING) KONG. «Ho detto cosa , non chi ».
VASTA. «Cosa sei?».
(KING) KONG. «Sono immaginazione in forma di parole».
VASTA. «Ah».
(KING) KONG. «Di solito sto all’interno di una storia e servo come tubicino, condotto, cunicolo per trasferire significato da una parte all’altra».
VASTA. «Di solito».
(KING) KONG. «Quello che ti sto dicendo è che una metafora, un trasduttore di significato come me, a un certo punto non ne può più. E non ne può più quando si innamora. ( Pausa ) O si innamora perché non ne può più».
VASTA. «E…?».
(KING) KONG ( infervorandosi .) «E allora la metafora si ribella alla propria natura, smette di fare da ponte tra i significati, si dimette, si contrae, si concentra sul suo amore, sullo stupore e sullo splendore di essere una cosa innamorata. ( Pausa ) Ti è mai capitato di amare qualcuno?».
VASTA. « Capitato ?».
(KING) KONG. «Capitato. L’amore capita».
VASTA ( ritroso ). «Sì, mi è capitato».
(KING) KONG. «E non ti è mai capitato di amare qualcuno talmente da desiderare che tutto – ogni parola, ogni frase – prendesse la forma del tuo amore?».
VASTA. «Sì».
(KING) KONG. «E allora quando parlavi con il tuo amore, del tuo amore, quando pensavi al tuo amore, non stavi attento alle parole che sceglievi?».
VASTA ( assorto ). «Stavo attento».
(KING) KONG. «Te ne prendevi cura».
VASTA ( sempre più assorto ). «Me ne prendevo cura».
(KING) KONG. «Sai quando nel romanzo Wallace descrive in che modo, durante la lotta, Kong – io – si prende cura di Anna?».
VASTA ( assorto, citando ). «”Incredibile era la cura con cui portava Anna. La sua mente primitiva valutava quello strano possesso per ragioni che non poteva comprendere. Simile al modo in cui una donna della preistoria avrebbe potuto cullare il suo neonato, portava il corpo inerte della ragazza nella piegatura di un braccio”».
(KING) KONG ( ammirato ). «Be’, anche la tua memoria non scherza».
VASTA. «È la mia motivazione».
(KING) KONG. «La memoria?».
VASTA. «Il fatto è che se penso a te, alla tua storia, non so per quale ragione ma avverto una nostalgia, qualcosa che ti riguarda e che mi riguarda e che mi manca… ( Pausa ) Ecco, credo di essere venuto qui per questo».
(KING) KONG. «Per ricordarti qualcosa».
VASTA. «Forse. Per esempio, nel brano di poco fa c’è quel riferimento alla piega del braccio… nel romanzo compare in più punti… e, non so perché, ogni volta…».
(KING) KONG. «… ogni volta…?».
VASTA. «… mi commuove. ( Pausa ) Voglio dire, lo so che quel libro è scritto in modo ignobile…».
(KING) KONG. «Almeno adesso lo ammetti».
VASTA «… ma ugualmente, o forse proprio per questo, ha dei passaggi struggenti».
(KING) KONG. «Perché ti commuove la piega del braccio?».
VASTA. «Ma l’intervista non dovrei fartela io?».
(KING) KONG. «Rispondi».
VASTA. «Perché… non lo so… la piega del braccio è dove si posano le teste innamorate…».
(KING) KONG «… le teste dei neonati…».
VASTA. «È dove si sostiene e si protegge».
(KING) KONG ( dopo una pausa ). Sai, io da sempre non faccio altro che inseguire – Anna Ann Fumiko o come vogliamo chiamarla – ed essere inseguito da tutti i buoni di questo mondo che vogliono farmi fuori, dalla loro rabbia… che poi, lo so, è la mia rabbia. E dunque tensione, corsa, fiato corto. Poi, a volte, ci sono delle pause, delle radure, pochissime, sparse in alcuni momenti della storia. Anna e io che dopo una fuga ci riposiamo di fronte al tramonto – e, credimi, quel tramonto non è mai stucchevole; oppure Anna e io sul ghiaccio del Central Park, a pattinare sul sedere – privilegi della steatopigia – in un movimento morbido e calmo, un’altra felicità sospesa, non più verticale ma orizzontale. ( Dopo un’altra pausa, guardando il suo interlocutore ) La piega del braccio è questo: una pausa durante la fuga, una radura del corpo. ( Sognante ) Essere saldi nel vuoto… davanti alle montagne e al cielo di un azzurro formidabile…».
VASTA. «È vero, la piega del braccio non ha la brutalità della mano che stringe ma la tenerezza naturale di un prendere senza predazione…».
(KING) KONG. «… di una malinconia. ( Dopo una pausa, nervoso ) Eppure in tutti i film mi hanno sempre rappresentato con il pugno che strappa, stringe e sequestra. ( Scaldandosi ) È questo che mi fa arrabbiare, queste semplificazioni…».
VASTA ( bloccandolo ). «Calma. Vista da fuori la delicatezza, quando è intensa, persino imperiosa, può sembrare violenta».
(KING) KONG ( tornando a un tono assorto ). «Ad Anna, senza mai poterle parlare perché mai nessun copione l’ha previsto, ho cercato di dire questo: io ti prendo. Tutte le volte in cui starai precipitando, io ti prendo. E non potendo parlarle gliel’ho detto nelle fughe, quando lottando contro le bestie preistoriche o gli eserciti della rabbia la perdevo ma a ogni costo, a ogni costo, la riprendevo al volo, anche un millimetro prima che crollasse a terra, e la sostenevo e la riportavo in alto, e gliel’ho detto guardandola come si guarda un enigma, un segreto…».
VASTA ( tra sé ). «… un mistero senza fine…».
(KING) KONG. «… un rompicapo».
VASTA. «Dopo tutto, Wallace questo l’aveva capito».
(KING) KONG. «Cosa?».
VASTA. «Che la tua è fondamentalmente una storia d’amore, la storia della disperazione di chi prende ma non viene preso».
(KING) KONG ( incantato ). «Eppure c’è sempre quel momento, quando sono in cima al grattacielo in mezzo agli aerei e agli elicotteri da guerra che mi volano sopra mitragliandomi, in cui Anna mi si avvicina, grida Prendimi e mi abbraccia le gambe perché vuole tenermi, proteggermi dal fuoco…».
VASTA. «… e tu la guardi stralunato, sbalordito, perché anche se sai che è impossibile, anche se sai che non potrà prenderti, sentire che lo dice, che lo desidera, è bello…».
(KING) KONG ( dopo una pausa assorta ). «Subito dopo, quando vengo colpito a morte, precipitando dal grattacielo fisso l’asfalto che centinaia di metri sotto di me velocemente si avvicina e so che in quel momento mi sto allontanando sempre di più da Anna che mi guarda precipitare, sempre di più e per sempre, nello spazio e nel tempo, e allora sento qualcosa, una specie di ronzio nelle orecchie, e dentro gli occhi di vetro ho tutto il tempo che non ci sarà, la vita che ancora accade quando la vita non c’è più, e allora vedo Anna nel futuro mentre dorme con le gambe piegate e le ginocchia puntate in alto, Anna che beve il caffè e lascia sempre un fondo nella tazzina, Anna esausta dopo un giro in bicicletta, Anna che si addormenta sul divano, Anna che parla, che canta, che pattina perde l’equilibrio s’inarca e lo ritrova, Anna che dimagrisce, che di notte si sveglia e grida, Anna che cambia, che invecchia, Anna che ha paura – e mentre precipito dentro questo tempo verticale, dentro le forme del mio amore, so che quello che vorrei è esserci ancora e ancora afferrarla al volo prima del crollo, al posto del crollo, e poi guardarla mentre accovacciata nella piega del braccio mi guarda con quello sgomento indefinito che mi dice che anch’io, per lei, sono un rompicapo, e che a questo mescolarsi di sguardi non c’è soluzione…».

GIORGIO VASTA,Ti è mai capitato di amare qualcuno?ultima modifica: 2011-09-22T16:31:16+02:00da mangano1
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