Clio Pizzingrilli perché il proletariato ha un’aria nostalgica

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perché il proletariato ha un’aria nostalgica

scritto da Clio Pizzingrilli

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« 12 settembre 2008

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Col passare delle ore si conferma drammaticamente decisiva la risoluzione assunta dalla BCE, comunicata dal suo Presidente nel corso di una conferenza-stampa giovedì 6 settembre. Ora si aspetta che il dispositivo dia prova di sé, nel momento in cui degli Stati si vedranno costretti a farvi ricorso – la Spagna oppure l’Italia – e si aspetta anche che la Germania imploda sotto la pressione scissionista della Bundesbank, l’inquietudine di una CDU che sente la mancanza delle qualità di sintesi di un Kohl, la prossima decisione della Corte Costituzionale. Le obiezioni, le critiche di quanti occupano l’area degli scettici, dei sospettosi, fanno rilevare la sottrazione di sovranità che l’adozione del dispositivo determinerà; altri notano come le misure richieste per poter accedere al fondo messo a disposizione dalla BCE comporteranno ulteriori, disastrose politiche di austerità, che finiranno per paralizzare le economie di paesi già pesantemente colpiti dalla crisi. Le politiche di austerità che incrementerebbero la disoccupazione, la pauperizzazione delle classi medie possono tuttavia leggersi in termini di ricomposizione di classe; assunte in tutta la loro ambiguità, essere intese come istituzioni di un nuovo presente in grado di sormontare le apparenze fin qui definite. In generale, le critiche che provengono dalle sinistre, anche le più radicali, sembrano più che altro mostrare una qual sorpresa, se non uno spiazzamento per la consequenzialità con cui la BCE ha dato corso alle dichiarazioni di Draghi degli inizi dell’agosto scorso. In definitiva, quanto la BCE pone ora in atto è una stretta nei confronti delle società di speculatori, ciò che si aspettava da tempo. La decisione è tradiva, giunge quando ormai molte economie nazionali sono allo stremo, soprattutto è una decisione che, per così dire, si limita a attuare una misura difensiva, senza indicare le provenienze dell’offensiva anti-euro. Si persiste nel mascheramento della posta in gioco. Questo sembra piuttosto essere l’aspetto colpevole e allarmante. In verità, la sottrazione di sovranità è in atto ininterrottamente dal secondo dopoguerra – l’ingresso dei comunisti al governo, in Italia, non è forse sempre stato impedito dagli ukase della Nato? – e in questi ultimi anni la sovranità è stata palesemente scassata da società finanziarie, agenzie di rating et similia. Accade, per es., che una società finanziaria che gestisce i fondi-pensione in California e si propone di saggiare il mercato in Italia, anziché, com’è sacrosanto, limitarsi a verificare le condizioni economiche e finanziarie del paese, intervenga estrinsecamente sopra l’assetto politico del paese medesimo. Che altro è accaduto in questi ultimi anni, se non una costante e montante cessione di sovranità a vantaggio di società finanziarie, agenzie di rating et similia? E chi c’è dietro, dentro questi club? E’ la domanda della quale il consiglio della BCE non ‘poteva’ dare conto, ma alla quale avrebbero invece dovuto rispondere gli europarlamentari, segnatamente dell’SPD, del PD, di altri partiti dell’area socialdemocratica. Si pone sotto accusa il tecnocratismo della BCE, ma che cosa avrebbe impedito ai socialisti francesi, ai socialdemocratici tedeschi, ai democratici italiani di fare una convention, nella quale esaminare i soggetti della speculazione e attrezzare le popolazioni europee, a queste speculazioni sottomesse, delle consapevolezze necessarie a combatterle? Nulla di ciò è stato anche solo immaginato. L’area progressista si è coraggiosamente schierata dietro la BCE e ne esegue con zelo le politiche. Ma verosimilmente questa crisi, che ora sembra faticosamente ricucirsi, è destinata a ripresentarsi sotto altre vesti negli anni che seguiranno. Da almeno due decenni a questa parte il mondo convive pericolosamente con il fenomeno delle bolle finanziarie, periodicamente si formano, periodicamente scoppiano; questa forma di vita del capitale è ancora ignota al capitale medesimo, che infatti ne subisce attonito, quando non paralizzato, le ossessioni, le bufere, le ondate di panico e parimenti di euforia. E’ noto che la contraddizione del capitale – posto che questa espressione abbia ancora valore – non è più solo ravvisabile nella produzione di plusvalore – anche considerato come la produzione non riesca ormai più a dissimulare il suo volto di morte (cfr. Ilva) –, quanto nelle anse oscure della circolazione cartacea istituita a rappresentare la forza di comando di società, clan, individui, che probabilmente non hanno neppure interesse a identificarsi in quanto capitalisti. Sembra venuto il tempo di individuare questo punto cieco della prospettiva capitalistica attuale. Il nostro tempo, scrive Proust nel II volume dell’edizione einaudiana della Recherche, ha la mania di voler mostrare le cose solo insieme a ciò che le circonda nella realtà e di sopprimere l’essenziale. Il nostro tempo è già ormai sempre il tempo del capitale, è infatti esso quello che più di ogni altro ente presiede all’accomunamento delle cose; attraverso l’accomunamento delle cose ovvero il modo o, meglio, il comando di assumere accomunatamente le cose, spossessandole, ciascuna, della propria essenza, si perviene a quella indistinzione che pone l’egemonia del capitale – rimanendo indistinto fra le cose del mondo, fra le vite di tutti, il capitale può semplicemente agire in tutti l’infamia della realtà, detto altrimenti il realismo delle rappresentazioni da esso istituite. Per lungo tempo si è creduto che il proletariato vivesse della ricchezza dei ricchi, come quelle vegetazioni parassitarie, scrive ancora Proust – qui nel III volume della Recherche –, di certi animali che sono unicamente nutrite degli alimenti che essi divorano e digeriscono per loro offrendogliene un ultimo residuo. In seguito il punto di vista è stato rovesciato. Ora, a giudicare almeno dai dati recenti della disoccupazione, sembra essere di nuovo tornati al punto di partenza – il feudalesimo che ossessionò e sedusse Proust –, il proletariato ha l’aria nostalgica, di chi si rammarica di non vivere più in simbiosi col capitale. A questo riguardo, la formulazione sovversiva della nozione di zecca ha chiarito che la condizione parassitaria non deve essere intesa simbioticamente rispetto a chi fornisce il nutrimento, bensì come una transizione ovvero senza patire sensi di colpa, senza provare riconoscenza nei confronti del nutritore stesso – il parassitismo, in altre parole, è il debito che il capitale ha da ripagare non alle banche, ma agli esseri umani, di cui ha fatto attrezzi.

Clio Pizzingrilli perché il proletariato ha un’aria nostalgicaultima modifica: 2012-10-07T15:58:52+02:00da mangano1
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